venerdì 26 settembre 2014

Ogni blogger è un'isola

Mi pareva di avervelo detto in ogni occasione buona, ma il mio cervello è altamente bastardo.
Prima si mette in ferie prolungate, difatti è dal 9 agosto che non spiccico post, stamattina mi son svegliato con l'imperativo categorico di scrivere 'sto post.
Che, diciamolo, già il titolo è tutto un programma.

No perché sarà l'arrivo dell'autunno, con le prime frescure propriamente dette le celluline grigie si son rimesse in moto, che vi devo dire. Fatto sta che voglio condividere sta riflessione.
Perché i blogger non creano qualcosa di comunitario? Una sorta di circolo dei blogger, associazioni spontanee in cui i blogger si riuniscono allegramente e si scambiano idee, istituiscono comunità produttive e spargitrici di buon umore e ottimismo all'ingrosso. 'Na sorta di Google Camp o Community o come cavolo si chiama. Massì, quella sorta di spazio libero gestito da Google che c'è nelle città più fighe tipo Londra o New York dove sia i privati che i free lance vanno là, si spiaggiano sui tavoloni, ma possono chiedere anche il parere e/o aiuto e/o opinioni degli altri polleggiatori. Un co-working, un brainstorming collettivo e spontaneo. Uffa, quelle robe lì. Ci siamo capiti.

Perché là si e qui no?
Allora, vedo già le bocche semi aperte che tentano un'obiezione. Vi prevengo. Sono cosciente del fatto che esistono eventi, fiere, incontri, seminari, gruppi collaborativi di blogger e chi più ne ha più ne metta. Ma il punto è che finite quelle occasioni lì, ognuno torna a casa sua, ci si scambia qualche mail cortese, ci si invita, ci si linka e morta lì.
Capitemi. Secondo me bisognerebbe andare oltre le cortesie che nel migliore dei casi portano a collaborazioni pressoché fisse o scambi di guest post e nel peggiore ad accettare l'amicizia su Facebook perché ci siamo incontrati al buffet del raduno dei mommy blog.
E parlo in prima persona eh.
Quando ero espatriato facevo parte della comunità dei blogger espatriati, che in sé avrebbe avuto un'enorme potenzialità di diffusione e sensibilizzazione della vita tipo di un italiano all'estero (nella fattispecie nella terra dell'Oktoberfest e della Porta di Brandeburgo). Potenzialità che non viene ancora sfruttata dato che ci si limita a seguirsi l'un l'altro, a linkarsi, a lasciarsi qualche commento di apprezzamento o di disapprezzamento. Quando proprio casca il cielo ci scappa pure un blogger incontro, ma questo rappresenta il limite massimo dell'esperienza.

Pensate invece se la maggior parte dei blogger espatriati si fossero riuniti, ognuno per le sue capacità, per i suoi ritmi di vita, per i suoi aspetti particolari di cui scrive, sotto un'unica associazione, collaborativa e propositiva. Avete idea di che scambio, di che progetti megagalattici avrebbero potuto venir fuori, di quali e quante opportunità prima impensate?

Ecco, perché non farlo anche in Italia? Lo so, lo so, ognuno sta in una città diversa, ognuno ha i suoi ritmi di vita e via di questo genere. Ma sapete che c'è? Chissenefrega.
Io sono sempre più convinto che se uno vuole ce la fa. Io ho voluto partecipare al progetto Humans-Torino (ok, ho avuto anche culo a conoscere una delle due menti ispiratrici della cosa, ma questo è secondario).
A me pare che la maggior parte dei blogger siano individualisti inveterati. Gentili, disponibili, carini e coccolosi, ma gelossissimi dei loro mezzi, dei loro agganci, delle loro risorse. E a condividere non ci pensa nessuno? Uno può far presente all'altro quel contatto che cerca un travel blogger che vada a farsi 5 giorni sulla ferrovia storica Porrettana e un altro può girare il bando per un food blogger che forchetta in mano vada alla scoperta delle delizie nascoste delle Cinque Terre.

Dai, obiettivamente, quanto figata sarebbe da uno a dieci?
Io dico trenta.

Dite che sto sproloquiando?
O dite che parlo senza conoscere? No perché può benissimo essere che queste realtà esistano già e io, non avendo FB, ne sia bellamente all'oscuro. Se è questo il caso siete pregati di illuminarvi con la vostra fiaccola di conoscenza. Grazie.

Ps: l'idea mi è venuta leggendo di questo gruppo, l'Orchestraccia, in cui cantano la maggior parte degli attori romani, dove sti personaggi condividono sia l'amore per la musica che le opportunità lavorative. E allora perché loro sì e noi blogger no?

mercoledì 30 luglio 2014

15X25 - Quaterna

Accidenti gente, qua il tempo stringe. Ancora due mesi e sarò fuori tempo per completare la mia lista delle 15X25.
Però devo dire che sono molto fiero di me perché ormai sono oltre la metà della lista.
Eh sì, perché può anche sembrare che dorma o che aggiorni poco il blog, in realtà è perché sto lavorando per voi (e per me) dietro le quinte. Per cui abbiate pazienza, cari.

Difatti sono qui per stupirvi.
Stavolta non ho barrato un paio di punti della lista, ma bensì QUATTRO.
Siete autorizzati a strabuzzare gli occhi, meravigliarvi della cosa e unirvi a me nei festeggiamenti.
State sfrigolando dalla curiosità, vero? Si vede.
Allora procedo con lo svelamento dei quattro punti in questione.

Sono stati completati i seguenti punti:

15) Tornare per almeno tre giorni a Trieste e vederne tutti i posti più bohémien. 
È stato assolutamente magnifico tornare, la prima settimana di giugno, nella città meno italiana che abbia mai visto. Ho fatto i soliti giri turistici per rinverdire la memoria e per assicurarmi che i miei posti preferiti in città fossero ancora lì dove li avevo visti l'ultima volta. Poi, certo, ho fatto anche cose più o meno turistiche tipo infilarmi nelle librerie, fare il turista beone che fa shopping nei grandi negozi del centro. Ho fatto il passeggiatore silenzioso o il finto lavoratore in pausa pranzo spaparanzato sulla panchina al Giardino Pubblico.
E, dulcis in fundo, ho tenuto fede al punto nr. 15: mi sono aggirato per le sale del Museo Revoltella, per i stretti vicoli di Cavana per me ancora inesplorati, ho fotografato il portone monumentale più famoso di Via Tigor, il nr. 12, e, udite udite, sono andato a prendere il thé al Caffè San Marco.
Ok, lo ammetto. C'ho messo dieci minuti buoni per decidermi ad entrare. Uno perché mi aveva assalito la vergogna di infilarmi in un caffè con delle memorie letterarie così prestigiose (Svevo, Joyce, Saba, Magris. Voghera, Tamaro ecc ecc), due perché davo per scontato che fosse stracolmo e sedermi tutto solo, impalato, a un tavolino mi faceva un po' specie.
Invece il caffè era praticamente deserto. L'atmosfera bohémien intatta, i decori art nouveau stupendi, il tavolino ultraschic in ghisa con i piedi leonini e i divanetti di una comodità unica. Una rilassatezza che non vi dico. I camerieri gentilissimi e solleciti, il thé strepitoso. Penso di essermici fermato un paio d'ore buone, tanto era rilassante l'atmosfera, il silenzio e la pace. Mi sono alzato di controvoglia per tornare in albergo.
Altri posti bohémien visti/percorsi sono stati il meraviglioso Viale XX Settembre, tutto ombreggiato da alti alberi e cosparso una porta sì e una uno di tavolini, via Cesare Battisti e i Volti di Chiozza assai frequentati dal caro Svevo.
I miei informatori autoctoni mi dicono che ho visto meno della metà del bohémien che Trieste può offrire. Ottimo! Ecco una buona scusa per tornare quanto prima.

12) Leggere ALMENO un classico della letteratura russa.
Io faccio sempre le cose a modo mio, si sa. Perciò niente classiconi dai titoli altisonanti.
Mi sono concesso invece un'opera semi sconosciuta del gigante della letteratura russa: Tolstoj.
Niente Guerra e Pace, ancora non mi sento preparato. Ma La morte di Ivan Ill'ic.
...è stato interessante, bello. Oddio, non il miglior libro degli ultimi cinque anni che abbia letto, però godibile e molto, molto utile per il mio progetto milanese. Mi ha dato spunti interessanti.
Questo per dirvi che il mio approccio con la letteratura russa non è stato travagliato come avrei immaginato. Soft semmai, molto shalloso. Dai, credevo peggio.
Questo mi lascia la porta aperta per altri esperimenti. In caso in futuro mi senta pronto!

8) Leggere da capo a piedi l'Ulisse di James Joyce.
Qui ammetto doverosamente la sconfitta. È stata una epic fail colossale.
L'ho ritirato in biblioteca il mercoledì, il lunedì dopo gliel'ho restituito. Giuro: non ce la potevo fare. Sono arrivato a pagina 30. Lo ribadisco, pagina 30, e già volevo tagliarmi le vene occipitali per il lungo.
Capolavoro della letteratura, caposaldo del subconscio novecentesco, bla bla bla, tutto quello che volete, ma per la mia mente limitata, fissata su cagate balorde era decisamente troppo. Rischiavo che le celluline grigie commettessero harakiri dalla noia. È stata una questione di mera sopravvivenza.
Se potete, abbiate pietà della mia pochezza mentale.

6) Tornare -almeno per una notte- a Monaco per riprendere la gossip session tra espatriati.
Allora, per correttezza vi informo che, cause organizzative, questo punto è stato in parte modificato dalle rispettive esigenze dei contraenti. Ma tranquilli, la sostanza è rimasta intatta e rispettosamente rispettata.
Sicché la gossip session interrotta è stata brillantemente ripristinata con gaudio magno e gola secca in quel di Innsbruck per una bella giornata abbondante. E, manco a farlo apposta, uno dei due unici giorni in cui il sole ci ha braciolato con 30 gradi all'ombra. Che a Innsbruck ci stanno le montagne, vero, no la spiaggia di Cattolica, eppure faceva un caldo da stramazzo ipoglicemico.
Però volete mettere la gioia di rivedersi dal vivo dopo un annetto e passa? Spettacolare.
Son quelle robe che ti rimettono al mondo, che ti fan dimenticare tutte le sfighe passate, presenti e future e ti fan zampettare per le strade, per i corridoi del treno in preda alla febbre da brodo di giuggiole.
E parlare, parlare, parlare, ogni tanto mangiare, bere una sorsata d'acqua e tornare a parlare, parlare, parlare. Dio, che meraviglia.
È che nessuno si degna di venire qui a bordoAdige, altrimenti beneficiereste dello stesso trattamento amorevole e gossipparo. Ehm ehm, gente avvisata, mezzo salvata.

Cosa dirvi di più?
Niente, che mi devo dare una mossa a completare anche gli altri punti che qua, ragassi miei, il tempo corre.
Mazza se corre!

martedì 15 luglio 2014

Meglio il bastone o la carota?

No ora voi spiegatemi che gusto c'è a criticare le persone per il gusto di "farle crescere".
Di smerdare o denigrare il loro operato nella stupida convinzione che bastonandolo, uno si migliora.
In quella maniera lì uno rischia, a furia di usare la frusta, di far avvizzire l'entusiasmo e la voglia, troppo spesso sottovalutata, di mettersi in gioco.

Passavo l'altro giorno vicino a una scuola e due professoresse stavano parlando davanti al cancello. Al che il mio orecchio capta il seguente brandello di conversazione "no, ma io quelli bravi li demolisco sistematicamente perché so che possono fare meglio".
Ma, dico, sei scema?
Se per le mani ti passa una pianta dal seme buono, con tutti i rami al posto giusto e i fiori pronti ad accogliere le api per donare frutti succosi, tu gli dai il diserbante? Sospetto che per quella zappona valga il principio della selezione naturale, secondo cui solo chi sopravvive alle peggio piaghe si fortifica ed è degno di colonizzare il mondo. E tutti quelli che hai stroncato nel processo e che avrebbero potuto dare al mondo come e quanto gli altri?
Fosse stato per l'istinto del momento mi sarei fermato a far polemica perché quella gente lì merita più legnate giù per la schiena di quelle che elargiscono gratuitamente trincerandosi dietro alla scusa del "metodo pedagogico". Bene, allora io ti bastono perché tu capisca il danno che fai alle nuove generazioni che passano sotto la tua cattedra. Anche il mio è un "metodo pedagogico", uno dei più ortodossi, anche!

Se quella rappresenta una scuola di pensiero, io faccio parte di quella opposta. Anzi no, di quella che sta in mezzo. Cioè di quella il cui motto è "un colpo alla botte e un colpo al cerchio".
Per carità, neanche scusare ogni minchiata i nostri pargoli/studenti/sottoposti combinino. In quel modo si insegna loro che qualunque cosa facciano va tutto bene, si sbuffa, si sbraita, ma poi gliela si fa passare liscia. Eh no. Che poi ci vengon su piantine fiappe o infestanti e la colpa è nostra, mica dell'effetto serra.

Io sono dell'idea che le persone vadano supportate, ascoltate, incoraggiate, messe in grado di fare in autonomia, acquisendo una certa autostima. Io sono per la collaborazione, per la solidarietà, per il confronto costruttivo. Il tutto fatto con un certo metodo. Perché anche quelli che ti urlano addosso che la roba tua fa tutta schifo, che è merda 100% DOP ti diranno che l'hanno fatto per il tuo bene, che da parte loro c'erano le migliori intenzioni, che il loro intento era puramente costruttivo. Siamo noi che siamo permalosi. Eccccerttto. Mi sputi in un occhio e ti devo pure ringraziare.
Dicevo. Si può muovere delle critiche anche con un tono di voce accomodante, ma fermo, spiegando le motivazioni, portando esempi, sottolineando i punti di forza che ci sono e andrebbero sviluppati, non puntando il dito su quello che non va. Uno lo demoralizzate facendo così.
Tante volte basta cambiare prospettiva per non far sentire stupido uno.

Facciamo un esempio.
Uno sbaglia 5 robe su 6.
Gli si può dire che ne ha sbagliate cinque su sei. Risultato: si sentirà una merda e non muoverà più una paglia per non ripetere l'errore. (Poi ok, ci sono anche quelli che si fanno un punto d'onore e sputano sangue per non sbagliare più niente. Ve lo concedo).
Oppure gli si può dire che è stato bravo, perché su sei cose, almeno una l'ha fatta giusta e quell'unica cosa buona deve essere il punto di partenza per conquistare anche le altre cinque, dev'essere il primo moto di autostima per sé, dev'essere quella spilletta di merito che ognuno dovrebbe portare sul petto.
Personalmente sono per la seconda opzione. Dire alle persone che qualcosa di giusto l'hanno fatto, le sprona a fare di più e meglio. O mi sbaglio??

Certo, lì bisogna avere l'elasticità mentale del caucciù. Bisogna capire chi si ha di fronte e adattare il proprio metodo-pensiero-linea di azione alla persona. A certi dire che han fatto bene è deleterio: si mettono in pantofole dicendo che fin lì han fatto bene e tanto gli basta. Poi non alzano né culo né coda, però incolpano te perché potevi spronarli di più. Allora lì una bastonata ci sta.
Ma a tutti gli altri, diamogli supporto. Che se alla fine imparano a camminare con le loro gambe e a credere in loro stessi e nelle loro capacità, gli abbiamo insegnato di più del capitolo sette di storia. Gli abbiamo insegnato a stare al mondo con un minimo di quello che si dice.
Chiamaci poco!

venerdì 4 luglio 2014

Verona for dummies

Tra le molte patologie che mi affliggono (ineffabile sense of humor, logorroicità, nonché modestia), ce n'è una che mi colpisce solo d'estate. La fregola della guida turistica.
Mi spiego.
Una delle mie fisse estive è sempre stata quella di accogliere e scarrozzare per la mia città eventuali visitatori-amici-conoscenti-vari ed eventuali in visita qui a bordo Adige.
Venerdì scorso una mia compagna di progetto è venuta a trovarmi. La malcapitata aveva ammesso pubblicamente che lei a Verona non c'era mai stata. Le ho fatto così tante rampogne che lei, saggia ragazza, m'ha detto "vabbè, vengo lì, mi mostri stra meraviglia di città che poi almeno stai zitto!" Brava, vedo che ci siamo capiti.

Portare in giro qualcuno per Verona è un'attività che mi gratifica. Certe persone si gonfiano d'orgoglio mostrando i loro manufatti in ceramica, io indicando le pietre dell'Arena. Insomma, ve la ricordate anche voi la sfida della Dresdnerin in visita, no? E siccome ogni tanto anche a Milano, quando vengo interrogato sulla mia città d'origine, faccio capire molto sottilmente (ma mooooolto sottilmente) che Verona è bella a prescindere, un altro compagno di corso, catanese strapiantato a Milano, mi ha definito la prima volta "gretto provinciale".
-Vero, verissimo- ho risposto io.
La seconda "campanilista da far schifo"
-È tutto vero- ho risposto di nuovo io.

Che, voglio dire, c'è un motivo se sono così abbarbicato a Verona. È bella, che vi devo dire?
Negli ultimi tempi allora m'è saltato il ghiribizzo di farvela vedere con i miei occhi, per tentare di farvi passare sotto pelle le mie emozioni più a fatti/foto che a parole. Unica falla nel piano: sono un pessimo fotografo. Di solito giro con solo il cellulare appresso e ok, che rispetto a prima le foto con lo smartphone son di una certa qualità; ok, che con i filtri di Instagram anche una foto ciofeca un attimo si recupera. Ma l'insoddisfazione estetica, eh, quella è dura a morire.

Poi, un giorno, la risposta alle mie preghiere. Di like in like sono approdato sul profilo di un Instagramer veronese che fa delle foto stupende, stupendissime della città. E con quell'occhio insolito e indagatore che cercavo. Lui non si limita a far le foto fighe dei monumenti, non sta lì a chiedere all'Arena di fare un po' la sfacciata stasera, di mettere l'Ala un po' più sulla destra e arricciare le labbra a canotto. No.
Lui fotografa le vie a mo' di punti di fuga. Piantato in mezzo. Con il nome della via come unico commento alla foto.
Chi sarà mai sto genio dell'urbanistica dilettantesca?!
Ve lo presento. Lui è tenentecoletti (spulciatevi e scorrazzate in libertà per il suo profilo).

Un paio di foto per farvi degli esempi:



Se vi ho fatto venir voglia di venire a Verona, ho ottenuto il mio scopo.
E va da sé che, se doveste decidere di venire, mi dovete avvertire, tassativamente.
Ve la mostro io, come si deve. Ovvio.

All photos above have been taken by tenentecoletti. All photo credits belong to tenentecoletti.

martedì 1 luglio 2014

Luglio col bene che ti voglio...

Ma che mese lungo e incasinato è stato giugno? Troppo.
Tra ondate di caldo, acquazzoni che toglievano dieci gradi come niente, continui su e giù per i treni e visite inaspettate qui a bordoAdige, sto mese non mi ha lasciato neanche un attimo di respiro.
O meglio, sì, ho avuto un paio di domeniche in cui avrei potuto incollarmi al computer e scrivere un nuovo post, almeno uno. Ma ho preferito glissare (riponete pure i coltelli, grazie) sia perché davanti al computer ci passo più ore di quanto vorrei e spegnerlo è una delle piccole rivincite della giornata, sia perché una giornata di dolce far niente è manna sacrosanta e io le ho passate spalmato a stellino sul letto.

Detto questo, ci sono tante belle novità che vorrei narrarvi, ma se lo facessi in un solo post mi brucerei tutto il materiale accumulato e quindi vi lascio un po' friggere nell'attesa del TorquiQuiz "che è successo a Giugno?" (inserite in sottofondo la musichetta di Ok, il prezzo è giusto o qualche altro gioco a premi).

Che alla fine, faccio tanto il misterioso, ma se qualcuno di voi sbircia/sbirciasse Instagram saprebbe più di quanto non divulghi qui sul blog, ma vabbè, una piccola occasione di vanto non la si butta via, nevvero?

Per ciò cosa potrei mai dirvi che non rovini le sorprese in arrivo?
Bha, facciamola semplice. Facciamo un punto della situazione.
Il mio stimolantissimo progetto milanese si è preso una pausa fino a metà settembre.
No, non fate quelle facce da finto compatimento. Mi va benissimo così. Ormai cominciava a essere pesante avere un week end fisso al mese da passare a Milano, passare tutte quelle ore con le stesse persone, dormire via, svegliarsi e due ore dopo essere di nuovo lì a guardare le stesse facce, essere attivi, propositivi. Bello bellissimo, ma una pausa ci voleva.

In giugno mi sono industriato e ho spuntato almeno due, se non tre punti della 15X25. Il che mi porta a condividere una riflessione. Meno male che non sono stato ambizioso e ho scelto solo 15 cose da fare durante l'anno dei 25 anni. Sembra di no, ma il tempo passa e non sempre si ha il tempo, la testa e soprattutto la voglia di star lì a spuntare le voci della lista. Però io sono una persona corretta. Ho preso un impegno e lo porto fino in fondo. E poi è una cosa che ho scelto io di fare, sarebbe stupido non finirla come si deve (anche solo per una soddisfazione personale). Vi pare?

Ho invertito la tendenza cosa-leggo-durante-l'estate. Di solito d'estate sono colpito da tre mesi di siccità, dal biblico periodo di vacche magre. Quest'anno invece, per puro caso e moto di pietismo delle case editrici, ho accumulato più libri da leggere durante luglio e agosto di quanto avrei creduto. Giusto per citarvi una cifra, ho qualcosa come 6 libri in coda da leggere, più 2 per il progetto da "studiare". Lungi da me lamentarmi: vedere quella bella piletta di pagine intonse, di coste colorate coi titoli che mi strizzano l'occhio mi fa salire l'acquolina in bocca. Giusto, sì. questo è uno spazio pubblico, mi do una regolata. Ehm ehm...

Sono immensamente contento che i mondiali siano già finiti, per noi. Onestamente non me ne fregava niente fin dall'inizio, ma i bar pieni di tifosi, i pazzi scatenati che girano per la città urlacchiando e berciando i loro gridi di guerra calcistica erano molesti e indesiderati. Ora che l'Italia è già tornata a casa, problema risolto alla radice. Grazie Prandelli, dal profondo del mio cuore.

...poi non so, devo dirvi altro che non rientri nei prossimi post??
Bho, già non mi ricordo più.
Spero che questo sfizioso antipasto vi basti e vi sazi. Per ora.
Per la prima portata passo a prendere le ordinazioni dopo!

giovedì 29 maggio 2014

Sono su Humans-Torino e non mi vergogno di dirlo (quasi...)

"Coooooosa??? Ma è un progetto meraviglioso!!"
"Concordo"
"Voglio partecipare, assolutamente!"

Credevo che avrei dovuto aspettare di più per dirvelo, ma visto che è già successo, non devo tacere un secondo di più.
Vi avevo anticipato che la settimana scorsa sono andato a Torino e fin qui ci siamo.
Vi avevo buttato lì che c'ero andato oltre che per andare a trovare la cara Pancri (e approfittare spudoratamente della sua ospitalità e divano letto) anche per partecipare a un progetto bellissimo, entusiasmante e stimolante.
Orbene, ora posso dirvelo.
Ho partecipato a Humans - Torino in qualità di persona di passaggio nella capitale sabauda.

Come sarebbe non sapete che cos'è Humans - Torino?
Ma che non la leggete Radio Cole??
Male, male, molto male.
E allora leggete qua e soddisfate la vostra curiosità!

A questo punto, anche se la mia naturale vergogna del fotografo e delle apparizioni in pubblico, anche se virtuali, mi dice di non farlo, devo zittirla. Sì perché ho ancora il punto più scabroso delle 15X25 da spuntare. Il numero 1: mettere una mia foto sul blog.
Orbene, questo sono io. Descritto dalle immortali parole di Jane Pancrazia Cole.

Io...in tutto il mio -ehm- "splendore"


Un veronese con un passato a Monaco, un amore per Trieste, e uno slancio speciale nei confronti di Torino.
“Verona è rigida. Monaco morigerata. Trieste stramba, un po’ austroungarica un po’ bohémienne. Torino è elegante, aristocratica, mai sfacciata”
“E tu?”
“Io?”
“Tu quale città sei?”
Ci pensa un attimo e poi risponde: “Verona”
“Rigido?”
“Sì”, dice quasi sorpreso da se stesso.





Com'è ovvio, come succede a molti di noi, il me che vedo in foto non mi piace. Diciamo pure che aborro finire in fotografia e che in genere preferisco stare dietro all'obiettivo che non davanti.

Solo per dirvi i difetti che noto in questa foto:
-la mani attorcigliate da chi si rode di avere il fotografo a un metro di distanza;
-il sorriso da topino di campagna;
-la fronte a lavagna, bella rossa svampata, ricordino del pomeriggio ustionante a Venaria Reale, così spaziosa da poterci proiettare un film;
-il color stoppa dei capelli (credetemi, sono meglio di così)

Ma tutto questo non vi riguarda. Quelle son cose che solo io posso dire. Da voi mi aspetto invece tanti, tantissimi complimenti. Che so, che ho degli occhiali stupendi (il che è vero), o che ho un'espressione maliziosa e birichina. Ecco, cose di questo genere. Se poi vi sentite generosi e volete dirmi che sono gnocco tra i gnocchi, non sarà certo io a fermarvi. Regolatevi di conseguenza.

Se volete lasciarmi un commentino qui sotto, bene benissimo.
Se volete commentare direttamente su Humans - Torino, andate qui!

martedì 27 maggio 2014

Tra maggio e giugno io arranco

Da che sono al mondo è sempre stato così.
Io, tra maggio e giugno, arranco.
Che da piccolo davo la colpa alla scuola. Questo è il momento dello sprint finale tra compiti in classe, interrogazioni, ultimi voti e medie da salvare o mandare a signorine non-perbene.
In università c'era il fine lezione-via-con-le-prove-in-itinere-prima-degli-orali.
Ma adesso??

Adesso devo smetterla di inventarmi scuse e ammetterlo. Il passaggio dalla primavera all'estate mi tramortisce. La comparsa dei primi caldi seri mi intristisce, perché lo so, lo so che sono il preludio ai sudori, alle ascelle pezzate, ai piedi che scivolano nelle scarpe, alla calura, all'afa e ai capelli perennemente fiappi.
Però vabbè, se fosse stato possibile attestare la temperatura estiva intorno ai 22 gradi, io avrei già firmato la petizione. Mi par chiaro.

Poi oh, devo anche trovare delle motivazioni serie di cui lagnarmi, no? Insomma, ultimamente sto trascurando parecchio il blog e questo mi dispiace molto. Mi accorgo anch'io che il ritmo dei miei post è al minimo storico. Dai, giurin giuretto, da oggi in avanti cercherò di essere più presente. Impegni o no.

Anche perché qui a maggio ho avuto degli ottimi motivi per il mio assenteismo. Non vi posso rivelare ancora cosa, come e quando, ma una piccola anticipazione ve lo do, sia per farvi stare sulle spine, sia perché mi state tanto simpatici e la lingua sbatte contro i denti per rivelarvi tutti i dettagli sfrigolanti.

Dovete sapere che se prima la mia vita sociale era il deserto del Serengheti, dove crescevano solo sterpaglie e arbusti stecchiti, dove la mia esistenza era allietata unicamente da qualche lucertola in visita, ora ho l'attività di un p.r. professionista. Lungi da me lamentarmi, sia ben chiaro. L'unica cosa che posso chiedere è sempre la stessa: universo, ma un po'di misura nelle cose, mai?? Quando troppo e quando niente...

Per dirvi, oltre al mio solito appuntamento milanese nel finesettimana (che a proposito va moooooolto bene, nel caso ve lo steste chiedendo), vi rendo noto che direttamente dalla grande capitale lombarda sono schizzato direttamente nell'altra grande capitale, quella subalpina. Torino, per intenderci.
Allora, sembrerà pazzesco, ma se fino a quest'anno Torino era là, isolata e trascurata dal sottoscritto, ora, nel giro di sei mesi, è la terza volta che finisco a bordo Po. E a far che, vi chiederete voi? Bhe, della mia visita ad aprile non posso ancora scucire nulla, di quella di maggio invece vi posso anticipare che ci sono andato, oltre che per andare a ballare un po' di tanto sulle ovaie della santa tra le sante, della gnocca tra le gnocche Jane Pancrazia, anche per partecipare a un progetto meravigliossissimo di cui sono innamorato e a cui ho partecipato mooooooooooolto volentieri. Nonostante la vergogna cane, badate bene.
Va da sé che a Torino non ho fatto solo il bohémien, ma anche il turista (e chi di voi sbircia il mio profilo Instragram lo sa), ma di cosa ho visitato e di come me la sono spassata vi parlerò la prossima volta (capitemi, devo tenermi un po' indietro per avere qualcosa di cui scrivere nel prossimo post).

Per ora lasciatemi dire che a Torino io mi trovo proprio bene e che...spero di tornarci presto, ovvio.
(Pancri, se stai leggendo, non svenirmi. Tornerò quando mi sarò assicurato che ti si siano spanate le orecchie da tutte le mie chiacchere ehm ehm... Che alla tua salute mentale, ci tengo!
Che se non mi ospiti tu, chi lo fa? Mica per altro!)

venerdì 16 maggio 2014

Lenti di mortadella

D'accordo, sarà la primavera, sarà che è la metà di maggio, sarà che i pollini turbinano per strada lasciando sui marciapiedi di quei tappetini di peli che manco i cani, sarà la luce calda e cristallina insieme della stagione, ma oh, ve lo devo confessare.
Ultimamente mi succede una cosa strana.
Mi sa che è un caso lampantissimo di sdoppiamento di personalità o spaesamento titanico.
Fatto sta che ultimamente mi meraviglio continuamente delle cose che prima davo per scontate.

Messa giù così suona banale. Vi allungo un attimo la zuppa.
Non è un mistero che io viva in uno dei quartieri di Verona a ridosso delle colline (da me chiamati "monti" - e il primo che mi ma notare che non toccano nemmeno i 500metri sul livello del mare lo corco come una zampogna, son monti e basta). Orbene, questa condizione mi pare, oggi come oggi, un privilegio. Mi capita, mentre sono alla fermata del mio amato bus, mentre passeggio con la Super Genia o mentre alzo la testa per attraversare, per evitare che mi stirino come una sottiletta Kraft, di alzare il naso ai monti e di trovarli di una bellezza struggente.
E il pensiero che faccio da un paio di mesi è sempre lo stesso: "Ma sono sempre stati così belli? Hanno sempre avuto quelle macchie argento (in gergo, olivi) e quelle altre più verde smeraldo (alberi non ben identificati)? Le marogne sono sempre state così brillanti e bianche?"

Capite? Mi sento come un estraneo a casa mia. Come i primi tempi a Monaco.
Ma anche quando vado in città mi capita eh, che non crediate che la cosa sia circoscritta.
In un certo senso studio Verona come studierei Trieste, Milano o Torino.
Mi meraviglio di certi dettagli, di certe architetture di certe vie che percorro da quando so camminare.
È come se la vedessi sempre nuova, come se i palazzi si rifacessero un look ogni giorno diverso.

Rassicuratemi, non sono io che soffro di qualche sindrome da sniffo occulto d'oppiacei, vero?
Mi sorprendo della bellezza in cui ho sempre sguazzato e di cui non mi curavo neppure (proprio perché non la vedevo). Ora è facile che perda il primo bus di ritorno perché sto sempre con il cell in mano, pronto a fare foto come un turista giapponese in visita.

Dite che è il sentimento di risveglio insito nella primavera?
O sono io che sto subendo qualche stana mutazione estetica involontaria?
No perché capita pure che resti impalato all'angolo di una strada a veder le cime degli alberi fare effetto marea sulla collina. Per raccontarvi l'ultimo episodio croccante. L'altro ieri sono andato sui monti con la Super Genia e ci siamo seduti in un prato a blaterare. A due metri da me c'era un olivo e non so, ma mi veniva spontaneo di guardarlo come si guarda un Monet o un Pisanello. Lo fissavo a occhi spalancati, tutto teso, tanto che sentivo due parole su venti di quello che la mia compagna di merende mi stava dicendo. E pensavo "Ma può un albero essere così bello??"

Dalle vostre facce perplesse capisco che è il caso che smetta e che mi metta a cercare sulle Pagine Gialle il numero di qualche bravo neurologo. O sto avendo una crisi mistica, o sto avendo un crollo nervoso mascherato da sindrome di Stendhal.
A voi la diagnosi.

domenica 4 maggio 2014

Miracoli e dintorni

Oh, il Signore sia lodato!!
Aprile è finito, annegato nelle piogge torrenziali dei primi giorni di maggio.
Finalmente.

No perché come avrete capito Aprile è stato un mese veramente, veramente bleah. Schifido. Orribile. Tremendo. Splatter. Lento come la fame.
Me ne sono successe di ogni. E credo che la mia latitanza dal blog lo dimostri e lo dimostri maggiormente l'unico post che Aprile m'ha fatto sgorgare da dentro.
Comunque, dato che questo è il mio principale spazio di condivisione con il popolo del web vi faccio un breve riassunto, una ciotolina di cavoli miei liscia liscia. Tutta roba altamente condivisibile, attenzione.

Il Dentista.
Ora, alzi la mano chi ama andare dal dentista! Ecco, appunto. Vedo solo un paio di mani alzate, senza dubbio appartenenti a qualche personalità disturbata, masochista, amante dello squisito dolore da trapano e otturazioni.
Andare dal dentista è una delle poche cose che mi fanno sobbalzare lo stomaco. Piuttosto che andarci mi faccio Verona-Torino in ginocchio sui ceci o un bel tour della memoria nelle trincee della prima guerra mondiale sull'Adamello a 3000metri d'altezza.
Però la salute impone che almeno un giretto, ogni paio d'anni, lo si faccia. Ci si mette via le paturnie e si suona quel benedetto campanello. Io poi, che con il tartaro c'ho una lunga relazione, una pulizia me la dovevo proprio fare. Se non che, a pulizia completata, ecco arrivare impietosa la sentenza di morte: "Eh, c'hai dei lavoretti in bocca da fare".
"Ma piccole, vero?" Sottotitolo: qualunque cosa sia, menti. Mentimi dannato dentista, rassicurami, che il mio fragile cuore potrebbe non farcela. Anzi, sento già la mia animula, vagula, blandula forzarmi la gola per salire all'Altissimo.
"Eh...insomma" -momento di silenzio livido- "belle non sono..."
Volete sapere che cosa c'era? Il mio cretinissimo dentista precedente, campione della fretta e del pressapocchismo, mi aveva fatto delle otturazioni alla membro di segugio che m'avevano causato delle infiltrazioni spaventose. Che tu sia mille volte maledetto e che una diarrea fulminante lunga e dal decorso imprevedibile ti colga!
Morale mi sono cuccato tre incontri settimanali in quel gabinetto di tortura per tre settimane di fila.
Non mi stupisco che il mio umore si sia schiantato al suolo. Sfido chiunque a dire che andare dal dentista non metta la depressione. Tu, tu là in fondo: sei avvertito! non osare aprire bocca. La mia era una pura domanda retorica.

Un altro peso è stata una battuta d'arresto nel mio progetto milanese. Ho avuto un momento di deragliamento.
Dilemmi amletici m'hanno assalito e più che un mente pensante e propositiva, mi sembrava di avere una coltura di protozooi cigliati. L'unico neurone buono che mi era rimasto serviva solo da richiamo per gabbiani.
Bene non ero messo, insomma.

Ma si sa, i miracoli accadono a chi ci crede.
E io, un po' per fortuna, un po' per impegno pregresso, ho avuto un piccolo, minuscolo miracolo.
Mi hanno pubblicato un articolo!
Niente di colossale eh, mica son finito sul Corriere della Sera o su Internazionale.
Però è un primo, timido risultato.
E perciò ne sono giustamente orgoglioso.
Se volete leggere l'articolo in questione lo trovate QUI

Leggetelo, se avete voglia.
E con un commentino qui sotto fatemi sapere che ne pensate, eh? Volete?

Il vostro inossinabile,
Torqui.

mercoledì 23 aprile 2014

Umore nero

Oggi infrango una delle regole d'oro che animano questo blog: non lagnarsi dei fatti tuoi che di mugugnoni in giro ce ne sono anche troppo. Regola che è già stata infranta, me ne rendo conto, ma solo in occasioni veramente speciali e necessarie.
C'ho provato eh, a tacere piuttosto che pubblicare qualcosa di vagamente tetro e lagnoso. Difatti latito da quasi un mese e non sapete quante volte ho rimesso in tasca le mani che prudevano dal pigiare un po' i tasti. Speravo che il momento passasse e che presto avrei avuto argomenti ben più allegri con cui deliziarvi.
E invece ciccia.

Sono stanco, ragazzi miei. Veramente stanco.
Stanco di non vedere risultati.
Stanco di dare senza ricevere.
Stanco di fare investimenti a perdere.
Stanco di essere sempre frizzante e pieno di idee, propositivo e incoraggiante.
A che serve? Tanto non ci si guadagna niente.

Parlo di lavoro, ovviamente.
Dopo un anno e passa di tentativi e barcamenamenti vari il mio ottimismo sta evaporando a velocità supersonica. Non vedo luce in fondo al tunnel. Mi sembra che tutti i miei sforzi siano inutili. Che all'attivo non abbia collezionato che fallimenti. Dal mio ritorno a bordo Adige tentativi ne sono stati fatti (tanti, più di quelli che ho raccontato), negli ambiti più disparati e con viaggi di una certa sostanza. Non mi sono mai risparmiato. Raccolta: zero spaccato.

Mi sento spento, senza prospettive. Sfinito.
Sento che sto sprecando tanto, troppo tempo e non per colpa mia. Questa è la cosa che fa più male.
Cosa posso fare di più? mi chiedo.
Cosa potevo fare di più? mi chiedo.

Cosa ho sbagliato prima, che mi ha portato a questo punto?
D'estate dovevo dare meno esami e più gelati ai turisti?
Dovevo laurearmi in cinque anni anziché in tempo, ma tenermi da conto quel tal contatto, quella tal collaborazione?
E chi lo sa.
Chi mi assicura che anche così non sarei finito nel pantano in cui sono adesso?

Non che non abbia costruito niente in questo periodo, ci tendo a dirlo, ma con le idee e i progetti del cuore non si campa.
Anche il mio adorato progetto milanese fagocita più di quel che restituisce.
Per carità, è stimolante, impegnativo, giocoso e entusiasmante, ma con grazie non si mangia.

È tutta un'altalena. E su e giù e giù e su.
La mia iniziativa creativa è un enorme, gigantesco fiasco.
Passata praticamente inosservata.
Senza dubbio per colpa mia. E di chi sennò?

Non so più cosa pensare. Dove sbattere la testa.
Onesto onesto? Mi domando se guadagnerò mai dei soldi come un cristiano meriterebbe.
Che non è tanto fame di schei, quanto il bisogno primario di un minimo di indipendenza. Sti genitori mica possono fare da salvadanaio in eterno!

Non lo so, non lo so.
Probabilmente è solo colpa mia. Che non ho capito una mazza di niente e vivo ancora di sogni e fantasie. Del buontempone che sono che pensa sempre che con una buona dose di ottimismo si risolve tutto. Seh, come no...si vedono i risultati, infatti...

Scusate il polpettone, ma in sto periodo va così.
Passo e chiudo.

lunedì 31 marzo 2014

Vivo in una libreria

Non pensavo che realizzare un sogno fosse così disagevole.
Quando leggevo Topolino vedevo Pico de Paperis dondolarsi su un'amaca tenuta su da due pile di libri. "Che figata" pensavo "dev'essere. Avere la casa invasa dai libri, muoversi tra le pile di carta e andare a scartabellare ogni tanto quel volume alla ricerca di quell'articolo interessante".

Ecco, non è una figata per niente. Anzi, è un gran casino. Non trovo più niente, non so mai in quale libro ho letto quell'appunto lì e in quale stramaledetta pila è. Preso da disperazione, per vedere meno torri di Babele cartacee sulla scrivania, sul mobiletto, sulla cassapanca, ho messo mano alla libreria per far spazio, licenziare i libri che son da riciclo, spostare quelli che tanto non leggo da anni. Un po' di posto l'ho fatto, giocando alla versione casalinga del Tetris. 

Ma le pile non accennano a diminuire. 
Al momento l'ecosistema in camera mia si suddivide in quattro specie librarie:

I libri che leggo per il progetto milanese
Testi che vanno da Buzzati a Lussu alla Fallaci, ai programmi e testi d'architettura, arte e storia. Autori che prima manco sapevo dove stessero di casa sono ora miei grandi amici. Li sfoglio, gli controllo, li segno con i cartellini. Tutta sta mole di documentazione non l'ho fatta neanche per la tesi. Eh bhe, c'è sempre una prima volta. 

I libri che leggo per svago
Sottotitolo: le storie che leggo di sera prima di addormentarmi. Sì, so che sta cosa della lettura serale fa tanto vecchietto con il cappello a cono e il pon pon colorato, ma sono gli unici momenti in posso tirare il fiato, leggere per divertimento, sollazzo e senza impegno. Mi rendo conto che in questo modo aumento la letteratura di consumo, ma mica pretenderete da uno frivolo come me che mi prenda sul serio tutto il giorno, tutti i giorni. Ecco appunto.

Al momento siamo solo a quota tre, ma richiedono anche loro un certo grado di attenzione e dedizione, visto che ho un mese per omo per ognuno per leggerli, in base agli appuntamenti del club del libro.

I libri che devo imprestare ai compagni di progetto
Ok, questi non sono impegnativi, non li devo rileggere prima di imprestarli, ma fanno comunque pila. Il che rompe. Meglio, intralciano!

Il che significa che io al giorno leggo almeno tre libri con tre storie diverse e su argomenti diversi anni luce tra loro. Non chiedetemi come faccia a chiuderne uno e aprire l'altro senza avere la familiare sensazione di spaesamento. Credo sia l'adrenalina a tenermi su. Altrimenti non si spiega!

Il tutto aggravato dall'intensa attività di mail che la documentazione per il progetto milanese comporta. Per cui anche lì pacchi di appunti che si gonfiano come palloncini, voci da verificare, informazioni da reperire. Ore di navigazione in Google che mi regalano dei graziosissimi occhi a panda. 

Però va bhe, meglio che una scarpata negli amici di Maria e poi vedendo il video che vi lascio in chiusura devo dire che, alla fine della fiera, è un periodo di grande stimolo. Pile di libri a parte. 

venerdì 14 marzo 2014

Ultime letture #2

Ne è passata di acqua sotto i ponti dall'ultima buk riviù.
Me ne scuso. Ma dato che faccio la vita avventurosa che faccio (uh, come no!), parlare di libri diventa difficoltoso. Perché mi piace parlare di libri come si deve, non en passant. I libri meritano rispetto.
E oggi il post è tutto per loro.

I libri "recensiti" non sono in ordine cronologico, né di gradimento.
Semplicemente alla membro di segugio.
Bene, si parte!

All'ombra dell'Impero. Il segreto del Mandylion - Alberto Custerlina
Dovendo essere il primo libro di una trilogia, intriga. Gli elementi ci sono tutti: un nemico, un poliziotto particolare, un'ambientazione inusuale ai primi del '900, schieramenti definiti, ma insieme labili. Io che non ho mai amato i libri d'avventura alla Salgari o Verne potrei convertirmi. Anche la scrittura descrittiva, quasi a macchie, aiuta molto a calarsi nella Trieste del 1902 ancora austriaca. Se contate anche la spruzzata soprannaturale con la questione della reliquia contesa, allora avete un bel piatto condito e invitante. Certo, ora aspetto la seconda parte che è prevista per l'autunno 2014. E vediamo se mantiene le promesse di partenze.

Un anno sull'Altipiano - Emilio Lussu
Una botta allo stomaco. Una di quelle che fan bene, che ti fan sentire intrappolato, magnetizzato, preso per il colletto e costretto ad assistere. Lussu ripercorre, con una lucidità e obiettività ammirevoli, l'anno di servizio passato sull'Altipiano di Asiago durante la Grande Guerra. Assalti alla baionetta, operazioni di sabotaggio con i tubi di gelatina, cambi d'acquartieramento, l'attesa e l'umanità spiccia della vita di trincea. Di là gli austriaci, di qua gli italiani. Una scrittura semplice, disadorna, quasi spoglia. Niente giudizi, niente recriminazioni, solo tanta, tanta pietà per le morti inutili, per i nervi squassati e i litri di cognac tracannati per sopravvivere dignitosamente.

Il giornalino di Gian Burrasca - Luigi Vamba
Dio quanto amo questo libro. L'avevo amato alle elementari (all'epoca leggerlo mi costò un paio di mesi) e l'ho amato ancora di più adesso. Giannino Stoppani è un figo, un ganzo, un discolo dal cuore puro che riesce a far satira feroce senza saperlo. Lui racconta, si confida al suo diario e non sa che così mette a nudo ipocrisie, contraddizioni e meschinità dei grandi. Grandi che non fanno altro che rimproverarlo rendendosi ridicoli agli occhi dei lettori. Con Giannino ci sono andato molto d'accordo a sei anni e ora ci siamo riscoperti più amici di prima. Certi libri peggiorano con gli anni, sbiadiscono, altri, se lasciati macerare come lo spek, migliorano in gusto e consistenza.

Costantinopoli - Edmondo de Amicis
Cuore era stata un'esperienza traumatica. Però questo sunto di un reportage dell'autore nella città sul Bosforo mi è letteralmente saltato in borsa. Mi ha chiamato. E io l'ho adottato. E centellinato. Questo è un libro che fa sognare. Ti sembra quasi di sentirgli, gli odori e le voci polifoniche nel Gran Bazar. Ti sembra quasi di vederle, tutte le popolazioni dell'Impero Ottomano sfilare sul ponte di Galata. Il tutto descritto con un'ironia e una sagacia che da De Amicis non mi aspettavo mica. Descrive certe scene con un'arguzia esemplare! Devo studiarmele ste scene, magari imparo qualcosa per i prossimi post...

Pallida Mors - Danila Comastri
Come gli altri casi del senatore Publio Aurelio Stazio, anche questo l'ho bevuto. Sta donna mi sorprende sempre. Uno non sai mai dove andrà a parare fino in fondo e secondo crea personaggi vividi, riconoscibili. Suggerimento per i professori di storia e latino in ascolto: se spiegaste la storia romana come fa la Comastri, ci sarebbero studenti più attenti e con le orecchie dritte. Correreste persino il rischio di avere soddisfazioni dai vostri alunni. Ma pensa un po'!

Stoner - John Williams
Di questo libro ho sentito meraviglie. Sui giornali, sui blog, da una compagna di progetto milanese. Insomma me l'hanno osannato così tanto che ho pensato che solo io non l'avevo letto. Lo devo ammettere: non l'ho capito. O almeno non nel modo in cui va capito (se c'è un modo univoco di capire un libro). M'ha lasciato perplesso. Chiuso ho pensato "e quindi? 'ndo sta il ciuccio?". Onesto onesto? Non m'ha dato niente. Se non un enorme punto di domanda piantato sopra la testa. Ok, è la storia di una vita ordinaria raccontata con poesia e tenerezza, esaltata nelle sue tragiche piccolezze e minuscole soddisfazioni. E fin qui ci siamo. Però tutto il resto mi sfugge. Se qualcuno di voi l'ha capito meglio e più a fondo, per favore m'illumini. Grazie.

Diario di scuola - Daniel Pennac
L'inizio m'aveva acchiappato, fatto pure ridere. Arrivare alle fine è stata un'impresa. Di Pennac non ho letto un granché, magari non sono abituato al suo stile ecc ecc, ma in certi punti era troppo dolciastro, troppo appiccicoso e buonista. Ho apprezzato il fatto che parli degli asini, di quelli che a scuola arrancano come una Cinquecento sullo Stelvio, casistica a cui anch'io, per via della matematica, appartengo. Ma in certi punti, figliolo mio, che pesantezza. Abbiamo capito, mollati. Decisamente carente, per il mio gusto, di equilibrio tra le parti di racconto e considerazioni polemiche. Amico Pennac, la prossima volta, meno sale e più cannella s'il te plait.

Uh, per chi di voi non l'abbia visto su Instragram, ho letto anche il nuovo bestseller di Fabio Volo - La strada verso casa. Non ho nulla da dire se non un bleah e triplo bleah.

Se c'è un libro/i che desiderate consigliarmi, bhe...fatelo!

martedì 11 marzo 2014

In udienza dal Papa

A 16 anni non avevo ancora fatto all'amore con Roma.
La capitale era oggetto di studio in storia, arte, diritto e latino. Ma per tutto il resto ero un verginello.
Sicché, quando è stata decisa Roma come gita scolastica -la prima gita seria di quattro giorni da spendere tra bagordi, gossip e ore piccole musei, passeggiate e siti archeologici- io sguazzavo nell'etere come un tordo nella bacinella. Ero tutto un cinguettio di gioia. E ansia e angoscia e eccitazione.

Perché, tra l'altro, uno dei nostri accompagnatori era il prof di religione. Che non era un prete, ma un don mancato. Occhialetti tondi, sguardo mite, pelata da frate, cardiganini marroni con le toppe e collo rinsecchito. Gli mancavano solo i sandali da fraticello e a posto. Tra lui e la prof di ginnastica non si sapeva chi fosse il più eccitato. La seconda sognava un piatto di spaghetti all'amatriciana in qualche localino sfizioso di Trastevere, lui di salire la Scala Santa in ginocchio e mettere una rosa sulla tomba di Giovanni Paolo II.

E, udite udite, si era anche industriato per farci andare in udienza dal Papa. Cosa che alla fine gli era anche riuscita. Ora, non so in che modo e tramite quali conoscenze altolocate (difese il segreto con aria da agnello che guarda avanzare il pastore con le cesoie in mano), ma una delle nostre mattine romane sarebbe stata dedicata a Sua Santità. Figurarsi i genitori che spasimi e che zufolate di gioia. I miei hanno fatto gli occhioni da fattoni di crack quando sono arrivato a casa sventolando l'invito.

All'epoca Benedetto XVI era fresco di nomina. Sedeva sulla sedia di San Pietro da qualche annetto scarso. Mia nonna era una delle sue fans più scatenate. Quando lo vedeva in televisione sembrava una metallara ai concerti degli Iron Maiden. Lo incoraggiava, lo applaudiva, lo incitava. Le mancava solo il santino sul comodino in camera. La sua raccomandazione è stata "salutamelo".


La mattina fatidica ci informano che l'udienza non si svolgerà nella solita sala, ma addirittura in San Pietro. Il prof di religione era in brodo di giuggiole. Lo vedevi pattinare sulla piazza tanto era soddisfatto. La prof di ginnastica avrà avuto paura che volasse via come un palloncino, se no non si spiega il motivo di portarselo a braccetto per tutto il colonnato.

Finalmente eccoci lì, in piena basilica di San Pietro, seduti tutti composti, tirando il collo come struzzi per vedere apparire dalla porta principale il Papa, guardarcelo un po', coccolarcelo con gli occhi che...diciamolo pure...quando ci sarebbe ricapitato?? Ecco, appunto.
Se non che, prima ancora che ci raggiunga, sentiamo un gran casino, gente che urla, gente che si alza. Minchia, sta a vedere che siamo finiti in mezzo a un attacco terroristico! Alcuni urlano "è caduto, è caduto". Altri invece "aiutate il Papa, aiutate il Papa". Una voce isolata chiede "ma quella chi è?" Ve lo ricordate di quando Papa Benedetto venne braccato da quella signora a metà navata? Signora un po' irruenta che l'aveva sbattuto a terra nella foga di abbracciarlo, salutarlo, fargli un saluto di cuore?
Era successo quello e io c'ero in mezzo.
Ero a Roma, in udienza dal Papa in San Pietro e questo veniva placcato da una fervente vecchietta.
Non ci potevo credere.

Una marea di gente che mi spinge verso il parapetto della recinzione per vedere, per commentare, per farsi un piattino di affari altrui. Persone che gridano e bisbigliano, che spintonano per sbatterci fuori, per evacuare la basilica. Un parapiglia di piedi e gomitate (certi pestoni me li ricordo ancora!).

Ma Ratzinger è un teutone, è tedesco, è fatto di duro granito delle Alpi. Si è rialzato, si è liberato dell'imbarazzante abbraccio della suorina mancata, l'ha affidata alle sapienti e caritatevoli mani della sicurezza, s'è lisciato la tonaca bianca e ha puntato il famoso baldacchino.

E lì l'ho visto. A un metro da me.
Avevo il Papa a un metro da me e l'unico pensiero che ho fatto è stato "che tappo, 'sto Benedetto!".
Pensiero profondo il mio, nevvero?
Eh si, non mi smentisco mai!

Sicché avevo fatto tripletta: ero in udienza dal Papa che era stato appena aggredito e ora stava a un metro dal mio naso.
Arrivato all'altare Benedetto cominciò a snocciolare i nomi di quelli che stavano in udienza (o che erano rimasti) e quindi nominò sia la mia sezione che il mio liceo. Per ringraziamento facemmo degli urletti striduli come quelli delle galline a cui tirano il collo e per dieci minuti ci sentimmo fighi come non mai.

Peccato però che non ci abbiano inquadrato quando poi il servizio sul placcaggio al Santo Padre andò in televisione. Per una volta che c'ero non m'ha intervistato nessuno.
Che brutta gente!

mercoledì 5 marzo 2014

Monaco intima #1

Ci ho messo un po' per prendere il colpo di parlarne. Nascosti nel mio vaso di Pandora ci sono aspetti di Monaco che preferirei dimenticare. Ma forse questo è un buon modo per esorcizzarli, buttarli fuori e non parlarne più. Non si dice continuamente che la scrittura è terapeutica? E allora facciamo della sana terapia condivisa, va'.
Che le mie sfighe magari possono essere le fortune di altri. Sai mai.
Per restituire al meglio la genuinità (in bene e in male) di quei momenti, ho deciso di non affidarmi ai ricordi, ma pescare direttamente estratti delle vicende contenute nel mio diario di viaggio (aka Moleskine del Piccolo Principe). Sì, quando viaggio ho la fissa di tenere un mini diario di viaggio. Anche per i week end eh. Trieste, Torino, Milano sono ampiamente documentati. È sempre bello specchiarsi in qualche modo nelle emozioni del momento. 
Da ora lascio il testimone al Torqui di due anni fa. Appena arrivato a Monaco e alle prese con la tragica ricerca casa.
Buona lettura! 

15/11

Terzo giorno di caccia al tesoro. Qui si fa ricerca, ma case non se ne vedono né sugli annunci né davanti gli occhi. Per ora l'unica cosa che vedo è la casella di posta elettronica svuotarsi e riempirsi a intervalli regolari. Ormai penso di aver inviato mail a mezzi enti e istituti vari di Monaco. Sono tutti prodighi nel consigliare e reindirizzarmi a quei soliti che ormai sono stufo di tenere monitorati. Le offerte ci sarebbero anche, ma se non rispondono fissando un incontro, io mica posso andare a prenderli a casa. 

La giornata però è stata ricca di avventure. Stamattina ho fatto un salto all'Istituto Italiano di Cultura, ma non sapendo che dirmi mi hanno consigliato di mandare una mail smielata e implorante, così che potessero inoltrare la domanda a chi di dovere. Neanche avessi chiesto un mutuo o un finanziamento. 
Sulla scia dello stesso spirito ne ho mandata una simile anche al Goethe Institut, magari mi possono offrire un alloggio per qualche tempo nel loro residence. Domandare è lecito, rispondere è cortesia, no?
Per tentare tutte le opzioni possibili, papà ha domandato al suo amico se avesse qualche contatto utile. Ce ne ha dato uno con la solita raccomandazione "Scrivetegli una mail". Morale: altro giro, altra mail. Qua bisogna proprio tentarle tutte!

Più che un cacciatore di case mi sento un segretario. Non faccio che scrivere mail, girare siti a vuoto, reperire contatti sempre più nuovi e sbrigare faccende burocratiche. Mah. Forse mi sto attivando nel senso sbagliato o non mi sto impegnando abbastanza. Non lo so. Fatto sta che sto messo così. I miei dicono di sentirsi un po' inutili, dato che dopo due giorni di ricerca ancora non ho visto una casa che fosse una. Come se loro da là potessero farci qualcosa. Tant'è. 
Il periodo è orribile, il tempo quello che è, se deve accadere un miracolo che per favore accada presto. Eppure non sono insoddisfatto o deluso, perché comunque io ce la sto mettendo tutta e se continuo a essere sveglio e propositivo, la cosa si risolverà da sé. Voglio avere fiducia. 

Nessuno qui mi scambia per italiano. Ieri ben tre persone mi hanno chiesto informazioni sia per strada che in metro. Oggi un'altra signora mi ha chiesto informazioni appena fuori dalla metro e un'altra si è messa a parlare con me sui gradini delle Neue Pinakotek.
Strana forma di accoglienza la loro. Non saprei come altro chiamarla. 

Bhe, la giornata ormai è finita. Facciamo un bel respiro e accendiamo la speranza. 
Sperando, appunto, che domani sia un buon giorno!

Continua

venerdì 28 febbraio 2014

Siate coraggiosi! Sculettate!

Non trovate che il passaparola sia una cosa meravigliosa?
Bhe io sì.
E l'ho doppiamente pensato stamattina quando mi è stata segnalata questa canzone.

Brave, di Sara Bareilles, è una canzone stupenda.
Per tanti motivi: ritmo, parole (scrolla in fondo al post), musica.
Ma soprattutto trovo geniale il video.

Mi ha riportato indietro, in una stazione della metro di Torino, deserta. Una musica scatenaculo in sottofondo, uno sguardo d'intesa con la mia guida locale e lo sculettamento compulsivo da Carnevale di Rio è stato un attimo. A osservarci solo una telecamera discreta e un binario impassibile.

È stato uno dei momenti più coraggiosi e disinibiti della mia vita (e da replicare, assolutissimamente).
Questo video è portatore sano di tutte queste sensazioni.
Interrompere per un attimo la banalità, la routine del quotidiano e mettersi ad ancheggiare. Perché ci va, perché siamo felici, perché vogliamo essere coraggiosi.
E menefreghisti. Oltraggiosamente menefreghisti.

Perciò fatelo! Date scandalo, suscitate incredulità.
Siate coraggiosi!
O almeno provateci. Vale sempre la pena provare.

Altri punti UAU del video sono:
-i pantaloni di Sara fitti di scrittura bianca su sfondo nero (li voglio)
-la coreografia e i passi di danza (averla quella facilità di piedi)
-i "ballerini" assoldati (il vecchietto in palestra spacca)
-le facce incredule della gente (impagabili)

Nel caso ve lo steste chiedendo, io sono il l'omino che balla alla fermata del bus.
Perché non il vecchietto?
Primo non sono mai entrato in una palestra e secondo non sono ancora ridotto in quello stato, dai!
Non potrei nemmeno essere il giapponese. Chi li ha quei capelli lì?!
No no, sono decisamente il ragazzone alla fermata. È occhialuto, indossa una camicia (le amo), ha delle finto Converse ai piedi (amo pure quelle) ed è appunto alla fermata del bus (posto in cui passo metà del mio tempo).

Che poi, non so voi, ma guardando la grinta di Sara, mi è venuta in mente Camilla.
Le magliettine a pois, l'entusiasmo, il fare trascinante..

Va bene, va bene. Ora chiudo la bocca e vi lascio ascoltare e vedere Brave.
(il testo lo trovate sotto al video!)


You can be amazing
You can turn a phrase into a weapon or a drug
You can be the outcast
Or be the backlash of somebody’s lack of love
Or you can start speaking up
Nothing’s gonna hurt you the way that words do
And they settle ‘neath your skin
Kept on the inside and no sunlight
Sometimes a shadow wins
But I wonder what would happen if you

Say what you wanna say
And let the words fall out
Honestly I wanna see you be brave

With what you want to say
And let the words fall out
Honestly I wanna see you be brave

I just wanna see you
I just wanna see you
I just wanna see you
I wanna see you be brave

I just wanna see you
I just wanna see you
I just wanna see you
I wanna see you be brave

Everybody’s been there, everybody’s been stared down
By the enemy
Fallen for the fear and done some disappearing
Bow down to the mighty
Don’t run, stop holding your tongue
Maybe there’s a way out of the cage where you live
Maybe one of these days you can let the light in
Show me how big your brave is

Say what you wanna say
And let the words fall out
Honestly I wanna see you be brave

With what you want to say
And let the words fall out
Honestly I wanna see you be brave

Innocence, your history of silence
Won’t do you any good
Did you think it would?
Let your words be anything but empty
Why don’t you tell them the truth?

Say what you wanna say
And let the words fall out
Honestly I wanna see you be brave

With what you want to say
And let the words fall out
Honestly I wanna see you be brave

I just wanna see you
I just wanna see you
I just wanna see you
I wanna see you be brave

lunedì 24 febbraio 2014

L'iniziativa creativa di Torqui

No dico ma ve n'eravate accorti?
Come di che???
Ma della mia INIZIATIVA CREATIVA!!

Quindi immagino che non avrete nemmeno notato la nuova pagina apparsa qui sopra. Ok, questa ve la concedo. Si perde molto in mezzo alle altre.
È per quello che ho creato un simpaticissimo miniannuncio anche qui a lato. A destra.

Capisco il vostro stupore e disorientamento.
Lasciate che vi spieghi.

Torqui di sogni nel cassetto ne ha sempre avuti tanti. Il che è sempre cosa buona e giusta. Peccato che i suoi sogni siano sempre stati un tantinello sopra le righe: scrittore affermato, scopritore di talenti, articolista free lance, storyteller qualificato, correttore bozze professionale e, giusto per non farci mancare niente, anche editor.
Con eventuali altre declinazioni: bibliotecario, libraio, recensionista seriale, traduttore di testi inediti.
Sì, la fantasia non mi è mai mancata.

La dura realtà però ha sempre avuto un che di scoraggiante. Scoraggiantissimo.
Il 60% delle attività lavorative sopra indicate è, in genere, roba da free lance. Che tradotto significa Partita Iva. Che tradotta significa suppergiù "prima di guadagnare alcunché devi prima dare, dare e ancora dare allo Stato".
Cara, la mia Italia!

Se non che, più o meno due settimane fa, ho scoperto una cosa a dir poco meravigliosa.
Ovvero che la partita Iva non sempre è necessaria.
Si può essere free lance anche senza la croce dell'Iva sul groppone.

Gaudio magno.
Carosello di felicità.
Tripudio di gioia e contentezza.
Cascate d'entusiasmo e idee.

Io mi sto dando da fare, mi sto muovendo in lungo e in largo, sto contattando, pubblicizzando, proponendo.
E qui entrate in scena voi.
Miei cari lettori, miei affezionati commentatori, miei insuperabili e adorabili colleghi. Una cortesia vi chiedo.
Diffondete il verbo.
Sentite di uno/a che cerca un correttore di bozze? Parlategli di Torqui.
Voi o un vostro amico/a necessitate di una traduzione? Affidatevi a Torqui.
Navigando in rete leggete di qualcuno che cerca un blogger/web writer brioso e accattivante? Fategli il nome di Torqui.

Se vi avanza tempo allungatemi altre idee di scrittura che possono intrigarmi.
Qualcosa di simile ai Racconti su misura di Jane Pancrazia.
(Tranzolla cara Pancri, non ti sto facendo concorrenza, solo raccogliendo pareri).

Eh? Eh? Vi ho incuriosito?
Si?
Bene.
Siete ancora lì con le mani in mano? Cosa state aspettando a scrivermi?
Io aspetto.

giovedì 20 febbraio 2014

La coscienza di Zeno

E via che anche questa voce della lista 15X25 è andata.
Avevo detto che avrei finalmente letto tutta La coscienza di Zeno e l'ho letta.
Ed è inutile che esibiate quelle facce scanzonate e compiaciute. Voi per caso l'avete letto in un momento della vostra vita che non fosse al liceo, costretti dalla professoressa di turno?
Ecco, allora muci.

Svevo non mi piaceva. Troppo strano, troppo ambiguo, un attimino cervellotico.
Mi ero accontentato dei brani dell'antologia, qualche commento della prof e ciao. Fatto.

E non mi aiutava nemmeno l'idea che fosse ambientato dov'è ambientato. All'epoca io Trieste non l'avevo ancora vista (tecnicamente sì, in terza media, ma chi si ricordava qualcosa??). Per cui l'atmosfera non mi diceva niente, non simpatizzavo per l'autore.
Una scrollata di spalle e giravo pagina.
A me intrippavano di più gli Scapigliati, Pascoli, D'Annunzio e, en passant, Pirandello.

Zeno m'è piaciuto.
Anzi, siamo proprio andati d'accordo.
Zeno è un gran cazzone, ma di quelli simpatici però.
No, spetta, più che cazzone direi che è un paraculo.
Ecco sì, Zeno è un gran paraculo.

Lui non fa niente, non sa far niente e intanto trova una moglie che lo ama, lo ascolta, gli sforna due figli; un impiegato che gli fa fiorire l'azienda e pure un'amante remissiva e defilata.
È uno di quei paraculati che non alzando né culo né coda, trova pure quelli che gli fan la pappa pronta.
Cioè, rispetto.

C'è anche da dire che a Zeno non gli va proprio tutto di gran lusso.
Suo padre lo crede un cretino e lo affida all'Olivi che diventa così il suo curatore aziendale (leggi: passaggio da una potestà all'altra). La donna che ama gli preferisci l'incapace Guido e, divenuta madre, diventa pure bruttarella causa una sindrome tiroidea. Tutti gli vogliono bene (o dicono di volergliene), ma lo trattano come un'inetto incapace di allacciarsi le scarpe da solo.

In certi punti non si capisce se c'è o ci fa.
Io propendo per la terza risposta: c'è, ma fa finta di farci.
Un po' come quelli che campano di rendita dicendo "io non lo so fare", non si prendono nemmeno la briga di imparare a farlo e, per colmo di culo, trovano pure quelli che glielo fanno.
Zeno c'ha quell'attitudine lì.
Che a quanto pare paga.

No perché in certi punti del romanzo se ne salta fuori con riflessioni mica male. Con osservazioni che, insomma, filano e son vere. Quindi del tutto debosciato non è, ma gli fa comodo passarci.
Chiamalo stupido.
È uno che ha capito tutto dalla vita, quello lì.

State a vedere che quasi quasi da Zeno c'è pure da imparare.
Quasi, ho detto...

venerdì 14 febbraio 2014

Se festeggiassi San Valentino...

...di certo non mi strafogherei di cioccolatini, cuoricini, pupazzettini, bacettini.
No. Bleah.
E non fate quegli occhi storti. Solo perché son di Verona non vuol dire che sia per natura romantico.

Anzi, con la scusa di Giulietta e Romeo, del balcone famoso, della città romantica per eccellenza, di roba romantica non ne posso proprio più. Ho sviluppato, come dire, degli anticorpi.
Mi sale il rigurgito del primo omogenizzato al solo pensiero delle strade del centro addobbate di cuori rossi fluo, vetrine tappezzate con frase smielate, gente ai tavolini che tuba peggio dei piccioni.

E qui mi fermo che mi sale veramente il vomito.

Frollato sì, romantico no.
Però festeggiare San Valentino mi farebbe comodo.
Mi darebbe la scusa di organizzare un viaggetto estemporaneo.
Dove?
Sarò ripetitivo e prevedibile, ma. Se avessi una dolce metà oggi la porterei a Trieste.
Sì, a Trieste.
Dai, avete capito. Qui:


Passeggiare per Piazza Unità, addentrarci nelle stradine tortuose della Cittàvecchia. Perderci nel dedalo di viuzze e scalette che portano a San Giusto e da là guardare giù, la città, con il mare e il Porto Vecchio. Scendere poi dalla scenografica Scala dei Giganti, infilarci nelle vie ordinate del Borgo Teresiano e, per finire, bersi un aperitivo in uno degli eleganti bar allineati lungo il Canal Grande.

E mi immagino pure la colonna sonora.
Questa:


Morale.
Se io festeggiassi San Valentino, vorrei essere a Trieste con Lisa dagli occhi blu che mi suona in testa.
...la primavera è finita,
ma forse la vita comincia così.
Amore è fatto di vento,
il primo rimpianto sei stata tu...

mercoledì 5 febbraio 2014

Un blogger (non) è un impedito

"Apertura dei corsi serali in circoscrizione" c'era scritto sul volantino "prima lezione gratis a porte aperte".
Interessante. Perché non provare? Magari imparo qualcosina in più sulle foto e su come farne di decente. Giusto così per soddisfazione mia.

Per strada zompettavo come uno stambecco nella stagione dell'accoppiamento, tutto preso dai miei film romantici.
Che bello, ci sarà tanta gente normale che scatta scatta, ma non sa una fava di fotografia seria.
Che bello, il maestro ci insegnerà a inquadrare con occhio più attento.
Che bello, stasera imparerò tanti tecnicismi fighi da sbrodolare in qualche occasione intellettualoide.
Il mio ottimismo è sempre superiore alla media.

In aula ci sono 15 persone. Tutti al collo hanno una Signora Macchina Fotografica (SMF) con obiettivo di puro cristallo di rocca del Perù, zoom ottico ultraestendibile e risoluzione standard da 8 miliardi di pixel.
Ok, io, con la mia macchina digitale artigianale e in tasca lo smartphone, cominciavo a sentirmi un filino fuori posto.
I tavoli sono due a due. Mi metto affianco di uno che mi pare il più giovane e anche quello con l'attrezzatura meno pretenziosa.

Entra il maestro in aula munito della sua SMF che tiene in grembo come un gatto soriano da ammazzare di coccole (giuro, ho visto mentre l'accarezzava voluttuoso...)
Si presenta, si congratula per il numero così numeroso di interessati e di Signore Macchine presenti, quindi inizia a snocciolare le parti strutturali della macchina.

"Come ben sapete i tre elementi principali per una buona foto sono la regolazione dell'ISO, la regolazione dell'otturatore e la regolazione dell'esposizione alla luce naturale".
Tutti annuiscono. Io comincio a sentirmi le gambe molli.
ISO? Otturatore? Esposizione alla luce?
Domanda nr. 1: cosa minchia sono??
Domanda nr. 2: come minchia si regolano?
Non so nemmeno dove andare a guardare, a cominciare a smanettare per regolare ste robe!

Fa' che l'ora di prova passi in fretta e nessuno mi sgami per il principiante che sono.

Devo evidentemente avere un'espressione di staturio terrore perché il ragazzo accanto a me sorride come lo Stregatto di fronte ad Alice.
Gli butterei giù i denti. Così, per par condicio.

"Ora, quando andate a mettere a mettere a fuoco con la funzione MACRO dovete tenere ben presente che il bilanciamento del bianco resti nei valori EV compresi tra -1, 0 e +1. Qualche variazione ci può stare, ma per le prime volte non strafate troppo".
Funzione Macro? Bilanciamento del bianco? Valori EV?
Ma di cosa sta parlando quest'uomo? E perché tutti annuiscono?
Ma non dovevano essere tutti gnucchi e inesperti??

Uno dall'aria concentrata con tanto di barba curata, occhialoni quadrati e SMF Nikon al collo alza la mano.
"Quando consiglia di usare la regola dei terzi?"
Ma dove siamo a un corso serale di matematica?
Cosa tirerà fuori ora? La proprietà transitiva delle potenze? Un ripasso delle funzioni delle frazioni? I limiti e i valori parabolici tendenti a più o meno infinito?
È inutile girarci attorno: sono demoralizzato.

I monologhi tra cervelloni della fotografica continua per altri venti minuti buoni.
All'uscita alcuni si fermano a parlare fuori dall'aula.
"No, ma con lui avevo già fatto un paio di corsi..."
"Ah ma c'eri anche tu all'Accademia Click quel week end di workshop sulla street photography? Sublime."
"Ma dai? Hai partecipato al concorso Storie imbellettate? E sei arrivato terzo? Magico".

Una domanda sorge spontanea: che nespole ci sei venuto a fare a una lezione omaggio di Introduzione alla fotografia?? Come dici? Ah volevi tirartela un po'. Bene, sappi che la prossima volta te la tiro io qualcosa in testa.

No comunque va bene lo slancio creativo, l'entusiasmo ecc ecc, ma io ho già deciso. Mi cerco qualche consiglio veloce, rapido e indolore su Internet. Chi s'è visto s'è visto.
E morta lì.

martedì 28 gennaio 2014

Torino. Tra turismo, folklore e Pancrazia

A Torino, oltre a flirtare con la Mole e sfidare i banchi di nebbia, ho fatto anche le classiche cose da turista.
Come:

  • Visitare Palazzo Carignano (alias Museo del Risorgimento), lo Scalone juvarriano di Palazzo Madama (total free) e Palazzo Reale (che include anche l'Armeria Reale, la Galleria Sabauda e il Museo Archeologico). 
  • Ammirare le Porte Palatine e la facciata del Palazzo di Città (per i profani, il Municipio).
  • Scorrazzare per il Parco del Valentino con tanto di Palazzo omonimo (oggi sede della Facoltà d'Architettura dell'UniTo) e il Borgo Medievale, 
  • Passeggiare languidamente per i lunghi portici del centro e le vie dello shopping: Via Roma e Via Garibaldi.
  • Salire sul Monte dei Cappuccini da cui si gode un'impareggiabile vista della città con le Alpi sullo sfondo, le colline tutt'attorno (su una delle quali ci fa cucù la Basilica di Superga) e l'altezzosa cupola della Mole che guarda tutti gli altri edifici dall'alto in basso.

Avrei voluto andare anche alla Reggia di Venaria Reale e alla Basilica di Superga, ma c'è mancato il tempo. Tutto rimandato alla prossima volta!


Il vantaggio di scoprire una città attraverso gli occhi di una guida autoctona è sperimentare tutto il meglio che la tradizione locale può offrire.
E scoprire il folklore torinese insieme a Pancri m'è piaciuto da impazzire.
Sono stato introdotto a segreti ben custoditi dalla popolazione indigena. Segreti che non posso divulgare pena un taglio netto alla giugulare.
Però posso rivelarvi che ho bevuto una gianduja in tazza al Caffé Fiorio (Via Po) da sturbo: atmosfere settecentesche con gli stucchi sul soffitto, grandi specchiere alle pareti e divanetti in raso rosso a fiorami.
Ho avuto il sommo piacere di deliziare il mio palato al Caffè di Palazzo Reale dove ho potuto assaggiare il famoso Bicerin accompagnato dalla sontuosa Merenda Savoia*.

E a proposito. Voi lo sapete che cosa significa la tipica espressione torinese "non mi oso"?
Bhe, io ora sì!

Come se tutti questi vizi gastronomici non fossero stati abbastanza, la movida torinese, oltre al già citato aperitivo TurinStyle, mi ha regalato una cena pettegola e dissacratoria in un locale trash-schic di San Salvario, nuovo quartiere di tendenza della capitale subalpina.
E un dimenamento di culo in una stazione deserta della metro al ritmo di una canzone di Beyoncé.


Ma soprattutto Torino è stata una splendida, splendida avventura in compagnia di Jane Pancrazia.
Le impressioni che avevo avuto di lei a Milano erano poca cosa. A Torino, nel suo habitat naturale, ho capito che lei è molto, molto di più.
E sotto tutto quel guazzabuglio di confidenze, risate, battute e aneddoti, oltre alla simpatia, l'affetto e le gomitatine complici, ho scoperto l'ammirazione.
Io l'ammiro. L'ammiro tanto.
Perché è una donna coraggiosa. Perché è arguta e ottimista.
Spalleggiata da due infaticabili sostenitori: l'entusiasmo e l'ironia.
L'ammiro per il suo lavoro, che vorrei fosse anche il mio.
L'ammiro per esserselo creato. E per portarlo avanti con energia e passione.
L'ammiro per la sua indipendenza e il suo spirito di iniziativa. Per la sua creatività e leggerezza.
Ma più di tutto l'ammiro per la sua tenacia. E perché è mia amica.
Oh e anche per le sue doti culinarie: fa un pollo alle verdure or-gas-ma-ti-co!!


Questa è stata, a grandi linee, la mia Torino.
Spero di tornarci non presto, prestissimo!

*La Merenda Savoia comprende i "bagnà", biscotti secchi tipici e artigianali, ovvero: savoiardi, novarini, granellati, garibaldini, torcetti, meringhine, brutti e buoni, baci di dama. Ma anche: gianduiotti, dobloni, cri cri e la torta reale.

venerdì 24 gennaio 2014

Torino. La Mole con il cappotto

"Ma hai finito di farle foto? Mi sembri un turista giapponese!"
"Non è colpa mia se è così bella!!"
"È la Mole, mica un quadro di Leonardo..."
"Ognuno ha le sue muse. Monet aveva la cattedrale di Rouen e le ninfee. Io ho la Mole."
Questo più o meno il dialogo tipo che avevamo Pancri ed io ogni volta che mi sorprendeva a fotografare la Mole: con il pinnacolo avvolto dalla nebbia, con il corpo centrale immortalato da più angolature, con la cupola da sotto in su, in prospettiva dalle altre vie, facente capolino di nascosto dai tetti delle case, dominare il panorama della città dalla scalinata della Gran Madre o dal Monte dei Cappuccini.

La Mole è sinonimo di Torino. Come lo è la Fiat, il Lingotto o Le Molinette.
Ma a me quelli non interessano. Macchine e medicina non sono proprio i miei interessi.
La Mole invece ha sempre esercitato un fascino magnetico su di me. Con quella sua cupola oblunga e quel suo pinnacolo elaborato, una sorta di tempietto più lungo che largo.
La Mole è uno di quei tipici monumenti che fungono da faro cittadino. La si vede da Piazza Castello, s'intravede dai Giardini Reali, dalle finestre di Palazzo Carignano, sbuca altera dall'ordinato reticolato urbano.


La Mole regala emozioni.
La salita alla terrazza panoramica è pura adrenalina. Attraversati i tre piani del Museo del Cinema, l'ascensore risale la cupola nel bel mezzo del nulla. Sale dal vuoto verso il vuoto. Tutt'attorno un'enorme calotta allungata, solcata da stucchi dorati che si dilata e si restringe secondo regole fisiche tutte sue. E in alto un minuscolo buco che pare irraggiungibile, ma che a poco a poco si allarga quel minimo utile ad ospitare la cabina trasparente dell'ascensore. Meraviglia pura. Stupore.

Sotto di noi, Torino.
Là davanti il profilo bianco di Palazzo Reale e le torrette gemelle di Palazzo Madama.
Poco più in là la facciata elegante del Museo del Risorgimento.
A destra, inconfondibile, il lungo rettilineo porticato di Via Po, culminante nella vasta Piazza Vittorio Veneto.
Dietro, il Po e la Gran Madre e più dietro ancora la collina torinese abbellita da villette eccentriche e ninfei cinquecenteschi voluti da un Savoia particolarmente raffinato.

Che strano miscuglio di grandiosità e reticenza che è Torino!
Non la si può assaporare che per punti di fuga e prospettive lineari.


Un'altra sorpresa inaspettata di questa città è stata la sua moda.
L'ho amata. Moltissimo.
Lungo Via Roma o Via Garibaldi, in direzione metro, poteva capitare che...

"Uh uh, ma l'hai visto quel cappotto lì?? Quanto bello è?? Me lo porterei via guarda!"
"Ancora? Ma è il terzo che addocchi e che ti scatena urletti! Vedi solo cappotti tu??"
"Che ci posso fare se voi torinesi c'avete tutti sti bei cappotti in vetrina! Certo, anche i prezzi sono notevoli eh, per carità. Però vuoi mettere?? Quando mi chiederanno dove ho preso una simile meraviglia potrò dire che l'ho trovata d'occasione a Torino durante un fine settimana informale da amici. Immagino già le facce contorte dall'invidia!"
"...con tutto quello che hai visto oggi: Palazzo Reale, il Museo del Risorgimento, la Mole...l'unica cosa che ti porteresti via sono i cappotti..?"
"Se avessi il posto in valigia, di pacca! Subito! No no, voi torinesi avete un gusto sopraffino, altroché. Ho già capito: prossimi saldi, non c'è Via Montenapoleone, non c'è Via Condotti che tenga. Io vengo qua a fare lo shopping tour. Sì sì, già deciso guarda!!"
La povera Pancri scrollava il capo sconsolata di fronte a queste mie (in)felici uscite. Ma mi perdonava: aveva già capito che l'incantesimo sottile di Torino mi aveva stregato.

La Mole con un bel cappotto sarebbe stata la perfetta sintesi della mia bisboccia torinese!!


Eh? Come dite? Non ho ancora detto niente né della mia movida torinese, né della convivenza lampo con Pancri?
Tranquilli, tutto rimandato alla terza e ultima parte!

Continua

martedì 21 gennaio 2014

Torino. La nebbia a gl'irti colli

E anche il punto due delle 15X25 è andato.
Sono stato a Torino. Per la prima volta. 
Ebbene sì, gentilmente ospitato dall'ineffabile e arguta Jane Pancrazia

Vi dico solo che il suo divano-letto crea dipendenza e che c'ho fatto bei sogni. La mattina del mio ritorno a Verona non mi sarei scollato dal materasso. Avevamo appena iniziato a conoscerci e a goderci la reciproca compagnia. È finito tutto troppo presto. Sigh sob. Argh! 

Torino. 
Torino e i suoi lunghi portici.
Torino e le sue grandi piazze.


Da Torino non mi aspettavo niente. Per me si riassumeva in due parole: Po e Mole.
La sua accoglienza è stata calorosa. Non ho avuto nemmeno il tempo di posare la valigia che ho dovuto scorrazzarmela per il centro. Mezz'ora dopo il mio arrivo ero già seduto a un tavolino di uno sciccoso locale torinese a fare aperitivo E li ho scoperto che "fare aperitivo" a Torino significa, oltre a bere, anche mangiare*. Decisamente un'altra cultura... 

Torino mi ha accolto con una nebbia che più nebbia non si può. Si navigava a vista. Il Palazzo Reale si svelava man mano che ci avvicinavamo. Piazza San Carlo si dissolveva in lontananza con i portici sfumati all'infinito. 

Torino è una città diversa da quelle che ho visitato finora. 
Torino non ha quella bellezza sfacciata, schietta, disinibita di Roma o di Firenze. 
Non ha nemmeno quel fascino sensuale, misterioso e intrigante tipico di Venezia.
Torino ha una bellezza severa, essenziale. Quasi austera. 
Torino è una signora d'altri tempi, gelosa del suo passato, aristocratica e di gran classe.


Torino è la città del saper vivere con stile e garbo. 
Del sapersi gustare la cioccolata con calma e raffinatezza.
Del bel ritmo antico intriso di quella naturale eleganza che si impone più con discrezione che per esibizione. 

I portici con i caffè dalle esili vetrine in legno e i divanetti foderati di raso rosso. 
Le bancarelle di librai di via Po in cui rovistare e scovare piccoli tesori letterari. 
I begli edifici dell'Università e il cortile estroso di Palazzo Carignano.


E ovunque le glorie del Risorgimento: 
Carlo Alberto, Vittorio Emanuele, Garibaldi, Camillo di Cavour.

Ma sotto tutto quel rigore sabaudo si cela un'esuberanza di colori, forme e stili dirompente e ricchissima.
Penso a San Lorenzo e alla sua cupola intricata.
Alla Consolata e al suo trionfo di ex-voto, argenti e marmi sgargianti.
Alle cappelle spumose del Duomo tutte ghirigori e putti sovrappeso.


Ma Torino, per me, è stata molto, molto di più.
Non vi ho raccontato della Mole. La sublime Mole.
Ah, la Mole...


* A Verona per "fare aperitivo" s'intende bere il classico spritz accompagnato da una ciotolina di patatine. Il mangiare si fa, in separata sede, al ristorante.