giovedì 28 giugno 2012

Libere osservazioni

Tra i molti doni di cui la Natura mi ha fatto dono (charme, humor, intelligenza, spirito critico, nonché una spiccata modestia) rientra anche l’innata capacità di stupire. Volente o nolente. Come quando lascio tutti basiti nel rivelare che no, non bevo caffè e si, il calcio mi fa veramente vomitare, lo abolissero mi farebbero un gran piacere, insieme al GP di moto e alla Formula 1. E se già prima, in Italia, questo era pressocché scandaloso (ogni volta dovevo dilungarmi sul perché non faccia uso di caffè di nessun tipo, italiano, tedesco, arabo, pakistano, urdu che sia), figuratevi ora qui nel feudo della Gran Dama Angelina. Così ogni volta che il teutonico di rito mi offre del caffè, io, con la mia risposta negativa, lo condanno a un paio di mesi di analisi. “Sei italiano e non bevi caffè?! Sei italiano e non ti piace il calcio?!”. No e no. Mettetevela via che è cosi. Familiarizzate con la cosa che fate prima. D’altronde provate a immaginare che il vostro amico Fritz vi dica di non sopportare la birra e che i würstel sono il cibo più immondo che circoli su questa terra. Rivelazioni sconcertanti. Scoop da prima pagina.

Immaginatevi poi il disorientamento, lo sguardo vitreo del tedesco quando ammetto pure di non bere birra. Sorgono grosse aureole a forma di punto di domanda. “E allora perché ti sei trasferito in Germania?!” è la classica risposta che mi viene posta. Anche se di solito sono i compatrioti a farmela, con un chiaro sottinteso: se non ti sei trasferito in Germania per la birra per che cosa?! Il fatto poi che abbia scelto di trasferirmi a Monaco, la città dell’Oktoberfest, è decisamente il punto tragico della situazione. Gli sbevazzabirra locali invece mi pongono la domanda di cui sopra con la sfumatura del turista. Ovvero, se sono un italiano, come posso aver abbandonato un paese così meraviglioso per la fredda, unattraktiv Germania! Questioni che esulano dalla comprensione di entrambi i popoli, domande esistenziali insolute dall’alba dei tempi. Detta in parole povere sono l’eccezione che conferma la regola.

O come quando mettevo il mio interlocutore in imbarazzo dichiarando con fierezza che studiavo Lingue. Una facoltà del tutto indegna per un possessore di bisaccia-contieni-biglie. Adatta invece per le indecise croniche, le lesbiche, le sessualmente represse, le femministe o le scansafatiche votate già da anni alla carriera di angelo del focolare. Perché si sa, tutti i maschi che fanno Lingue sono dichiaratamente o segretamente sodomiti. Non rientrando nella casistica gettavo tutti nel panico. Studiavo Lingue e non ero gay. Per tutti mentivo sapendo di mentire. Così come mentivo sbandierando ai quattro venti che guidare è un’attività che mi annoia, mi innervosisce, mi esaspera. Molto meglio andare con il bus o, in alternativa, faccio da passeggero. Ripago la scarrozzata gratuita con qualche numero da cabaret. Idee e atteggiamenti del tutto indecorosi per un uomo, legatelo, frustatelo e fategli dire 100 Ave Maria. Se anche così non rinsavisce chiamate il prete e docciatelo con l’acqua benedetta.

In più non sono mai stato un figlio da esibizione. Studiando a Verona non ho mai dato ai miei genitori l’opportunità di vantarsi di spendere fior fiori di conti correnti per mantenere il pargolo a Caltanissetta. Ed essendo stato uno studente alquanto diligente (per non dire un mulo sforna esami) i miei non hanno neanche potuto piangere lacrime di coccodrillo con la dirimpettaia dicendo che la luce dei loro occhi fa una fatica bestia, sgobba come un matto per arrivarne in fondo e ogni fine settimana torna a casa distrutto dalle 12 ore di treno Trapani-Verona. Insomma con uno come me non gli è mai stata data l’opportunità  di provare il brivido dell’autocompiacimento, del naso alla Pinocchio, dei parentes dolorosis.  Un figlio che non da soddisfazioni e non lancia sul tavolo l’occasione di piangere il morto. Lo so, che razza di figlio ingrato. Me ne pento e me dolgo. Shame on me forever after all. Un pessimo esemplare, il solito sospetto infrequentabile. Asociale e deviante.

E come non ricordare il momento in cui ho dato l’annuncio che avrei nuovamente valicato le Alpi anche se il tirocinio era finito. Il TorquiParentado ha ammutolito al gran completo ed è calato un silenzio imbarazzante. Sinfonia di grilli primaverili in sottofondo, tiepido soffio di vento texano con qualche palla di fieno vagante.

Insomma non c’è rimedio: da qualunque parte mi si guardi, un pessimo, pessimo soggetto davvero. Sono come i cataclismi: capito quando meno ce lo si aspetta. Per fortuna che non mi prendo troppo sul serio, né prendo troppo sul serio gli altri. Leg-ge-rez-za!! Quindi per favore non prendete nemmeno voi il post troppo sul serio. Non mi sto lamentando né facendo inutili polemiche. Anzi, volersi bene certe volte è proprio non prendersi sul serio! Provare per credere.

Quasi dimenticavo. Il prossimo sarà un post un po' speciale, si raccolgono quindi volentierissimo consigli-proposte-idee per renderlo più che mai unico. Non volendo anticipare nulla vi rivelo però che vorrei fosse un post dedicato a voi lettori. Per tanto sbizzarritevi con le richieste, le curiosità e i colpi di matto. Chissà che i più geniali non trovino risposta a tutte le loro eventuali domande... ^^

E per finire beccatevi questa mega pubblicità. La Mercedes sa come sfruttare la febbre da Europei 2012! Impagabile...:

lunedì 25 giugno 2012

Scortesie per gli ospiti

La mia Vermieterin è un po’ invadente. Un po’ tanto. All’inizio pensavo fosse una sorta di comitato ufficioso di benvenuto. Ora penso che sia invadenza pura e semplice, violazione gratuita del mio spazio vitale. Credevo che dopo la naturale curiosità iniziale mi avrebbero lasciato in pace. Soddisfatto il bisogno di incontrare l’italiano, questo esotico straniero, si sarebbe ritirata nella sua tana lasciando a me la mia. Così non è stato. Così non è. La C-Mutter ogni tanto mi capita in casa agli orari più disparati, armata di chiavi e incurante del grazioso pulsante a lato della porta chiamato campanello. Capita a volte, nelle giornate buone, che si ricordi di usarlo. Unicamente come pro forma. Non ho nemmeno realizzato che mi hanno suonato che lei infila la chiave nella toppa, chiama a gran voce e mi annoia per svariati minuti con stralci di cronache familiari. Episodi di cui a me non frega una mazza. Ma sorrido per non farle trovare la porta a pedate.

Peggio della C-Mutter c’è solo la C-Sorella. Zitella, sgraziata e lunatica, questo ennesimo membro della C-Familie abita in un monolocale del Rückgebäude, il palazzo oltre il cortile interno. Lei non mi piomba in casa perché vuole rendermi partecipe della sua vita. No no macchè, ci mancherebbe (e grazie all’Altissimo è così). Lo fa per ragioni meramente pratiche. Usa la lavatrice. E il mio ammorbidente. Oh e anche lo stendirobe. Stendirobe che mi resta occupato per giorni interi finché la ragazza stagionata non si riporta i panni ancora umidi oltre il cortile. Questa qui disconosce totalmente l’uso del campanello. Raramente saluta. Solo quando è di buzzo buono, altrimenti grugnisce e sbuffa. Da inquilino mi sono trasformato nel guardiano dell’appartamento. Sono la donna delle pulizie che paga per avere il privilegio di usufruire di un letto e tenere la casa pulita. Era la risposta a tutte le mie preghiere. Son qui che cerco un lavoro e non mi ero reso conto di averne già uno.

Tra le mie mansioni rientra anche quello di tenere l’appartamento areato e il bagno in ordine per quando arrivano ospiti. Oltre alla francese puzzolente mi sono sciroppato una vecchia conoscente della Vermieterin venuta a Monaco in visita, i figli di non so chi e un terzo individuo che per fortuna è rimasto qui solo una notte. Ospiti che puntualmente mi lasciano il bagno in uno stato pietoso, letti da rifare e pavimenti da strofinare. Il bello è che sono sempre io l’ultimo a sapere di queste visite: ne vengo informato al massimo un paio di giorni prima, giusto perché lo sappia. Ringrazio almeno che non me li ritrovo sulla soglia da un momento all’altro. Sarebbe più imbarazzante. Non ricevo preavvisi però per le visite improvvise della Vermieterin. Quelle bisogna prenderle come la pioggia: quando arriva arriva. E arrivano anche in momenti indesiderati. Si perché è già capitato che io fossi in bagno per rispondere al richiamo della Natura e loro siano entrati bellamente in casa cercando un dialogo. Ora, io cerco di essere elastico e comprensivo. Se qui in Germania non esiste il bidet, significa che certe regole del bon ton da bagno sono sconosciute, ma una persona avrà il sacrosanto diritto di essere lasciato in pace nel bel mezzo di un’espulsione di missili balistici. O no?!

Avrà il diritto di strofinarsi calli e geloni senza doversi sforzare anche li di parlare tedesco da una porta all’altra. Avrà il diritto di restare in pigiama, frusto e con i capelli a nido d’ape tutta la santa mattina senza essere molestato da una vecchia impicciona. Avrà il diritto di gestire la sua privacy come cacchio gli pare e piace. O no?! L’ospitalità e la gentilezza a volte possono risultare tremendamente pesanti.

Altre volte invece mi sono stati tesi autentici agguati. Una domenica mattina mi hanno suonato (quindi buttato giù dal letto) per chiedermi se mi andava di andare con loro a messa. Ma vi pare il caso di svegliarmi per ste scempiaggini?!! Da quella mattina ogni sera tiro il chiavistello. Che se almeno tentano di entrare trovano la porta sprangata. E che diamine. Poi c’è stata quell’emergenza in cui il C-Vater ha fatto praticamente irruzione in casa per poi fiondarsi in bagno per evitare di farsela addosso. Il peggio è stato che accompagnava la deposizione delle uova marce con sospiri berciati tipo “cosi…cosi…oh bene…ahhhh”. A me è venuto il ragionevole dubbio che si stesse lucidando il pomello, ma certe cose è meglio non saperle. Per sorvolare di quando mi lasciano qualche articolo di giornale direttamente in cucina perchè parla di italiani. D’accordo l’accoglienza e tante belle storie, ma qui stiamo passando il limite. Per carità, capisco che lo facciano per “mettermi a mio agio”, farmi sentire integrato, ma accidentaccio usate quelle stramaledette chiavi con moderazione!!

Consiglio spassionato: la prossima volta che cambiate casa assicuratevi che il vostro padrone di casa abiti dall’altra parte della città, che sia muto e possibilmente in giro per il globo 360 giorni all’anno. Ne avrete tutto da guadagnarci. E mi raccomando assicuratevi che nel contratto non ci siano codicilli minuscoli che prevedano intrusioni legalizzate dei familiari. A quel punto abbandonare la nave!

NB: per coloro che si ponessero in ascolto solo adesso, potete trovare le puntate precedenti Qui, Quo, Qua e di nuovo qui.

venerdì 22 giugno 2012

Esperienza mistica: il parrucchiere turco

I miei non sono capelli qualsiasi. No. Magari fossero di quelli ubbidienti, marmorei, marziali che restano al loro posto anche quando sulla città si abbatte l’uragano Katrina. Assolutamente no. Se anche solo c’è una bava di vento loro si muovono, ballano il limbo, la salsa e la baciata a ritmo alternato. Totalmente indifferenti ai 20 minuti e più che tu hai impiegato per domarli nel vano tentativo di uscire di casa un cincinin presentabile. Mai e poi mai. Perché i miei son capelli con personalità e ci tengono a rivendicare il loro diritto alla libera espressione. I miei sono i più dissidenti tra i clan tricologici. Sono gli Highlander delle capigliature.

Da qui la necessità di avere il barbiere di fiducia che non appena entri nella sua bottega dei miracoli sa già che deve farti il solito taglio o che se, temerario, osa proporti qualcosa di nuovo lo fa a suo rischio e pericolo. Non si sa mai come possano reagire a priori. Bisogna andarci con i piedi di piombo. Anche se c’è da dire che sono un padrone molto democratico. Non li taglio una volta al mese per portare il punto su chi comanda, ma un giorno ogni tre mesi la tosatura però ci sta (in quel  giorno io ci lascio giù tanta di quella lana da farci un mezzo materasso singolo).  E cosi prima di tornare a Monaco in gennaio avevo dato una sforbiciata energica al mio crine in previsione dei mesi di astinenza da barbiere-del-cuore. La falla nel piano è stata che, dopo tre mesi, in testa avevo una foresta pluviale in miniatura. A malincuore si rendeva necessario il disboscamento.

Essendo io piuttosto pittimo in fatto di capelli mi sono trovato nella necessità di dovermi aggirare con sguardo indagatore da poliziotto di quartiere alla ricerca di un parrucchiere dove procedere alla delicata operazione. Le aggravanti: non sapersi spiegare dalla A alla Z in tedesco in questo spinoso ambito, i prezzi stratosferici di alcuni salons e la totale misconoscenza dello stringiforbici. Che, voglio dire, il problema atavico è sempre quello: se sbagliano a tagliarti i capelli con la faccia da Teletubbies indemoniato ci vai tu in giro! Dopo settimane di consulti con Eireen, ricerche sui vocabolari in internet e confronto di prezzi di listino, ho tagliato la testa al toro. Sono entrato in un friseur salon a pochi passi dalla U-Bahn, un pomeriggio tornando dal lavoro. Armato di una foto-campione e un sorriso tirato mi sono gettato nel vuoto. La corpulenta maitresse mi dice di accomodarmi, che non appena il collega ha finito la pausa cicca (leggi sigaretta) mi serve subito.

Tempo 5 minuti e il collega torna. È turco. Per una frazione di secondo ho temuto il peggio (perché non so se li avete visti, ma i tagli dei turco-tedeschi sono osceni), la filossera mi rodeva già le pareti dello stomaco. Mi chiede come li voglio. Esibisco la foto dicendo che me li faccia ESATTAMENTE così. Lui non controribatte. Osserva solo che nella foto la riga è a destra, mentre io ce l’ho a sinistra. Se voglio che me li tagli esattamente come la foto deve cambiarmi la riga. Mi va bene?! Certo, faccia para para come nella foto. Via gli occhiali e che il rito abbia inizio.

Una rivelazione: mano fatata, bocca chiusa e rapidità d’esecuzione. Giuro, non mi sono mai rilassato così tanto durante la tosatura. Io che ero abituato al mio barbiere dalla mano nervosa che ti tagliava lo scalpo sradicandotelo con veloci coltellate manate mirate. Io che ero abituato a dover sostenere una conversazione forzata su di me, su quanti nei ho e cosa faccio, da dove vengo, se c’è vita su Marte, se credo in Dio ecc ecc a decibel altissimo cosi che i clienti in sala d’aspetto potessero sapere tutti quanti gli affari miei. Io che ero abituato a investire una mattina secca per un taglio di una durata media di 40 minuti intervallato da chiamate al telefono, visite di amici del barber e shottino di caffè. In pratica una via crucis capellifera. Io che ero abituato a contrattare sul taglio che volevo, a mediare tra i miei desideri e i consigli del barbiere che aveva un debole per la cotonatura anni ’60. Il turco invece si è limitato a sforbiciare, modellare e livellare la mia giungla senza chiedermi il codice fiscale e la taglia delle mutande. Ha riaperto bocca solo a lavoro finito quando mi ha chiesto se ero zufrieden, soddisfatto. Io ero supazufrieden! Finalmente me li hanno fatti come volevo, in 15 minuti scarsi e senza inutili chiacchere di mezzo. Meravigliosa efficienza  e riservatezza teutonica. Operazione eseguita con successo.

Ieri ci sono tornato. Era il giorno programmato per la tosatura. Stavolta mi sono premunito di foto solo per sicurezza. In caso non riuscissi a spiegarmi come si deve. E ho avuto la conferma che ora quello è il mio nuovo parrucchiere-del-cuore-monachese. Di nuovo è stato veloce, efficiente, silenzioso e leggero di mano. Con poche semplici direttive li ha tagliati come m’immaginavo. Questo turco mi sa leggere nel pensiero. E mi sgrava di quei 2-3 kili in eccesso estorcendomi solo 9 euro. Credo di essermi innamorato!

Ps: nel post precedente ho accennato all’Hubertusbrunnen. Giusto così per info aggiuntiva è questa :



martedì 19 giugno 2012

Voglio una vita...disoccupata..!

Quello che state per leggere è un post lagnoso. Se decidete di leggerlo lo fate a vostro rischio e pericolo. Se ne sconsiglia la lettura a chi ha avuto una bella giornata. Se ne consiglia invece la lettura a chi ha avuto una pessima giornata. Può darsi che la sfiga altrui riesca a farvi sentire meglio.

Non meniam il can per l’aia: essere disoccupati è per l’homo occidentalis la tragedia personale seconda solo alla morte. Perché in sé la disoccupazione è la morte sociale, l’esclusione dal mondo del lavoro. Perché si vive per il lavoro. Si sposa il lavoro. Sul posto di lavoro circolano gossip, si fanno gossip, si raccoglie materiale per lo spettegolesso serale. No lavoro no vita. Lavoro uguale significato e significante delle nostre esistenze. Se non hai un lavoro o ti commiserano o ti evitano. In ogni caso niente di positivo. Se hai un lavoro sicuro, ben pagato e prestigioso, diventi un figo anche se hai lo spessore morale di una lente a contatto. Se invece hai un lavoro “normale”, busta paga da mendicante, ma una sana integrità sei, senza rimedio e per direttissima, uno sfigato. Il lavoro è il metro con cui valutiamo ogni cosa e/o persona. Oltre ai vestiti che si indossano o la macchina che si guida, ovviamente. I colleghi sono i tuoi migliori amici con cui prendere un aperitivo alle 11 della mattina oppure i servitori del Demonio in borghese da esorcizzare a suon di sgarbi e frecciatine. Se il colloquio va bene ci sentiamo belli, spiritosi e capaci. Se il colloquio va male siamo pronti a indossare il cilicio per espiare la colpa di essere quello che siamo. Distillato d’avvilimento purissimo da buttar giù tutto d’un fiato. Insomma se non troviamo lavoro la colpa sarà pur nostra, no?! Ed ecco che la danza macabra inizia: siamo noi ad adattarci al posto di lavoro e non il contrario. Tutto pur di aver l’altissimo onore di essere il galoppino dell’Ing. Cavazzi.

Cercare lavoro è un’arte, da sempre. Ormai è cosa nota e risaputa. E quando non lo si trova, iniziano le paturnie. Il cosiddetto calo fisiologico. Io ce l’ho avuto lunedì. Di già??? Di già si! Un buco nero di tristezze in cui sono affondato fino all’ultimo capello. E bhe ho pensato le solite cose: che ho fatto le capriole per tre anni da un esame all’altro per un’emerita cippa, non essendo diventato né un ingegnere, né un commercialista, né un avvocato, né un architetto. Che ho scelto il paese sbagliato in cui trasferirmi: qui si cercano “tecnici”, non umanisti. Che non pesa tanto la lontananza da casa, quanto la mancanza di riscontro diretto con la TorquiMamma e la Super Genia. Che per la mia cronica mancanza di esperienza tutto è troppo grande. Se poi combino casini chi li mette a posto?! Seduto come una statua di sale di fronte all’Hubertusbrunnen ho percorso 10.000 miglia di pippe mentali. Ancora un po’ e incontravo il capitano Nemo sotto i mari.

E si, ho avuto ripensamenti. Sull’università. Sulla scelta di tentare la fortuna qui. Sulle mie capacità. Linguistiche e personali. Che in fondo aver studiato Lingue è stata solo una colossale scorciatoia. Ho una laurea, ma vale meno della pergamena su cui è stampata. Che l’inutilità del mio titolo si riflette anche su di me: chi sarebbe mai pronto a investire su qualcuno con un titolo cosi ridicolo?! Che gira e rigira non sono adatto a fare niente. Sarei negato persino come cameriere al McDonald’s. Un quadro desolante. Autostima a zero. Speranze nulle. Fiducia nel futuro minimi storici rilevati.

Poi ho cominciato a realizzare. A realizzare che nessuno trova lavoro in 2 settimane, neanche qui nella quasi terra della cuccagna. A realizzare che se non dovessi trovare niente almeno io c’ho provato. A realizzare che nella peggiore delle ipotesi posso far fagotto e tornarmene a casa. Mi sono ricordato che ho scelto Monaco per amore e non per necessità. Che sono venuto qui perché ero ispirato e perché lo volevo con tutto me stesso. Ergo, non posso fare un lavoro che non mi ispiri, che non mi gratifichi, per quanto mi permetta di pagare l’affitto. Che la disoccupazione è brutta perché ci hanno insegnato che lo è. Perché il lavoro nobilita, la disoccupazione abbruttisce. E chi l’ha deciso poi???

Ho realizzato che il primo che deve investire su di me sono io. Che se voglio trovare un bel lavoro ci devo credere. Che a finire a pulire i piatti si fa sempre ora (per quanto anche questo sia un lavoro pari agli altri). Ho realizzato che anche la disoccupazione può essere un’opportunità. Ora alla mattina faccio lunghe passeggiate. Scopro nuovi angoli della città. Leggo sulle panchine di parchi finora sconosciuti. Mi affido semplicemente a ciò che sarà. Con questo non voglio dire che aspetto che vengano a bussarmi alla porta di casa per offrirmi un lavoro. Dico solo che leggo gli annunci e se uno mi colpisce spedisco la Bewerbung, altrimenti il domani porterà nuove opportunità da valutare. Mi sono ricordato che bisogna dare tempo al tempo. Che neanche Roma è stata costruita in un giorno. E che anche approfondire il tedesco è un’occupazione. Come lo è prendersi cura di sé e della casa. L’altro ieri mi sono improvvisato pure pasticcere. E anche se l’aspetto non era dei migliori, il gusto c’era.

Che insomma, cercare lavoro ok, farsi venire la depressione no!

PS: il 16 giugno la città ha compiuto 854 anni (la piccolina è nata infatti il 16 giugno 1158)! Augurissimi München. Ti vogliamo bene!

giovedì 14 giugno 2012

Imparare tedesco è...

…è leggere un annuncio di lavoro riuscendo a capire cosa c’è scritto senza farsi venire il mal di testa.

…è riuscire a scrivere una Bewerbung decente con la percentuale minima di errori (il massimo sarebbe non farne, ma se l’impossibile mi riesce a tempo di record, per i miracoli necessito di tempo), tenendo ben presente che una Signora Bewerbung è composta da: lettera di presentazione, bella foto a 42 carati, curriculum e, nel mio caso, anche dalla traduzione dei diplomi. Sto già male…

…è comprendere che anche se hanno in comune il segmento buch, libro, tra buchhaltung, contabilità, e buchhandlung, vendita di libri all’ingrosso, ci scorre in mezzo il Danubio!

…è anche mettersi l’anima in pace che trovare una giusta casistica lavorativa e chiamarla con come e cognome è un casino. Non si capisce mai dove cominci il ruolo del Lektor e quello del Geschäftsführer

…è riuscire a capire il tedesco burocratico in cui le mail di ringraziamento vengono scritte. Perché qui si scomodano anche a scriverti “si, abbiamo ricevuto il tuo fascio di carte, grazie per avercele mandate, dacci il tempo di valutarle e poi ci risentiamo”.

…è arrivare alla tragica conclusione che il tuo titolo di studio in Tedescolandia vale quanto una scuola serale. E ti viene da pensare che forse andare a fare Informatica o Architettura non era proprio un’idea cosi peregrina.

…è prendere coscienza che in questa landa bavara economia, ingegneria, giurisprudenza e marketing sono ultra quotati. Tanto che corri il rischio di essere sequestrato per strada. I lavori “di letteratura” invece a quanto pare non se li fila nessuno. Difatti i negozi alla Hugendubel sono gestiti dagli elfi.

…è riuscire a stare al passo con l’impiegato-mitraglia-informazioni dell’Arbeitsamt (ufficio di collocamento) che spiega, in quest’ordine, cosa siano la Krankenkasse (assicurazione sanitaria), la Sozialversicherung (l’equivalente tedesco dell’Inps), l’assegno der Arbeitlosigkeit (l’assegno di disoccupazione) e mille mille altri cavilli burocratici che mi sono perso per strada.

…è realizzare che se mai riuscirai ad avere gli Swarovsky là in basso per sostenere un colloquio in questa lingua impossibile e contorta, allora puoi tutto. E ti puoi rilassare. Se ti assumono hai già fatto metà del lavoro!

domenica 10 giugno 2012

Non ho l'etàààààà!

Ci sono volte in cui vivere all’estero ti fa venire i capelli bianchi, occasioni in cui ti si brizzolano persino i peli del naso e ti ritrovi tutto d’un colpo con dieci anni di meno e l’artrite al malleolo. Momenti in cui infileresti le dita nella presa della corrente o snifferesti uranio impoverito pur di porre fine alle tue sofferenze.

Io non vivo a Monaco da tanto. Solo da 6 mesi e 4 settimane. Un tempo miserino. Giusto il tempo di capire come funziano le cose qua, come mettere in riga una frase decente in tedesco e via. Non cosi misero però per non aver avuto la mia bella sequela di sfighe. Come quella volta del problema con la P maiuscola: la casa. O quella volta in cui mi si è impallato il cellulare dal freddo e mia sorella ha dovuto litigare con il tipo del 190 per farsi dare il codice PUK. O quell’altra in cui, causa canale linguistico intasato, la Vermieterin non era in casa e io sono rimasto chiuso fuori dal palazzo fino alle 3 di pomeriggio con la valigia sul pianerottolo. O l’altra ancora in cui sono dovuto tornare a Verona in tutta fretta per mettere una pezza ai casini combinati da Trento. Uno spasso a getto continuo. L’ultima è fresca di week-end. Ovvero il momento peggiore in cui ti possono capitare sfighe in terra di Crucchia dato che qua il fine settimana è tutto chiuso.

Venerdi mattina. Ancora preda dei fumi del sonno accendo il computer per caricare una puntata di una delle mie serie preferite. Giusto per allietare ulteriormente il rito della colazione. Scorro la lista, scelgo una serie e metto la puntata in carica. La pagina internet si contorce, mi fa un gestaccio virtuale e si tinge interamente di bianco. Ho appena il tempo di sacramentare che compaiono queste parole (chiaramente in lingua teotisca): il tuo computer è stato bloccato! Hai scaricato musica illegale da internet. Inserisci qui il numero di serie della tua carta di credito per pagare subito la multa di 50 euro. Ok. Subito ho pensato a una finestra scherzosa, di quelle che compaiono ogni tanto cliccando di qua e di la. Solo che non si chiudeva. Non c’era la cavolo di X magica per farla sparire. Cercando di mantenere la pressione nella norma cerco di aprire il gestione risorse. La finestrina appare e scompare subito. Altro gestaccio multimediale. Tiro un lungo, lunghissimo respiro e riavvio. La dannata finestra bianca è ancora li. È ufficiale: c’è qualcosa che non va. O c’è un cazzutissimo virus o, peggio dei peggi, il sistema ha deciso di andare in vacanza.

Ed è stato subito panico. Dove vado a cercarlo ora un tecnico, un negozio, un nerd da scantinato che mi rimetta in sesto il computer?! Crisi nera, nerissima. Decido di chiedere info alla Vermieterin. Che ovviamente quando serve non c’è. Sehr gut. Mi sono catapultato fuori di casa alla ricerca del negozio per tutte le soluzioni, del magico bazaar in cui si riportano in vita i pc. Per un’ora ho vagato per le vie del quartiere occhieggiando tutte le vetrine, leggendo tutte le insegne, alla disperata ricerca della salvezza tecnologica (i passanti temo mi abbiano scambiato per un maniaco visto che mi scansavano tutti). Niente. E adesso?

Poi l’illuminazione. Nei grandi negozi di elettronica, ci sarà un’area assistenza, no? Ci sarà un bancone dove il tecnico di turno fa di nuovo cantare i computer con l’imposizione delle mani e ausculta i processori con l’apposito stetoscopio. Mi sono precipitato al primo che mi è venuto in mente: il Conrad Electronics. Stringendo al petto la borsa con dentro il piccolino malato bracco la squinzia al banco informazioni e sbrodolo il problema. Ruminando una Big Babol la gigia chiama il tecnico e torna a limarsi le unghie da geisha. Narro di nuovo la storia dalla A alla Z, dall’Alfa all’Omega e ritorno, con voce strozzata, pronto a una crisi isterica. Lui impassibile mi chiede di fargli vedere la schermata bianca. Ed è subito telepatia. Ah si – esclama competente – è il virus Xysel! Te lo risolvo subito. Due veloci palpate alla tastiera, un giro di twist al touch pad e voilà come nuovo. A me è quasi venuta un escherichia colis di livello 8 e lui con tre rapidi gesti l’ha guarito. Lunga vita al Tecnico Taumaturgo. Mentre cercavo la mandibola sotto il bancone ho chiesto se dovevo pagare qualcosa per il disturbo. Lui si fa una grassa risata e mi dice che no, non gli devo niente. Per una scemenza del genere sarebbe imbarazzante chiedere un compenso. Ed io che ero già pronto a offrirgli una cena da sette portate nel miglior ristorante della città…

Insomma tutto è bene quel che finisce bene. Per certe paure però non ho più l’età… Sarà per quello che stamattina nel pettine ho trovato un paio di capelli bianchi?!

giovedì 7 giugno 2012

Poveri i miei occhi!

Dai, tra italiani possiamo ammetterlo. In fatto di moda siamo dei precisini, pignolissimi e puntigliosi. Dei veri fustigatori di costumi. E diciamoci pure in tutta franchezza che ne andiamo fieri. Le maggiori firme al mondo sono roba nostra. Gli americani se la menano tanto sventolando il cappello alla texana, ma l’etichetta della giacca ha nome italiano.

Noi giudichiamo. Tutti. Su tutto. E ovunque. Noi siamo degli Enzo e Carla in borghese. Non facciamo il programma come loro, ma punti in fatto di cattiveria ne diamo. Ovviamente lo faccio anch’io. Di solito giro con le palette numerate in borsa. Primo passante: 4. Seconda vecchietta sulla destra: 0 - - -. Cravattato due file dietro: 6 per il completo, ma 3 pieno per le scarpe. E mi risparmio il numero sugli occhiali alla Woody Allen. Tredicenni finte Britney Spears, prego mettetevi da sole agli arresti domiciliari. Quando giro per le strade di Verona in compagnia della Super Genia poi, do il meglio di me. Siamo all’incirca cosi:







Ne approfitto, già che ci sono, per lanciare un appello. MoMa, bitte bitte sehr, reintroduci la Buon Costume. Ma non per arrestare i disinibiti e i conigli da marciapiede. No. Reintroducila per i casi di cui porta il nome. Per i crimini contro l’estetica comune, per il crimine del cattivo gusto che ferisce gli occhi e prende a pugni lo stomaco. Reintroducila per casi di fashion crime. Invece di mettere tanti metaldetector negli aeroporti, mettili fuori da ogni porta di casa, che cosi appena uno esce mal vestito parte la sirena e l’addetto di turno ti schiaffa una multa da 200 euro. Che, voglio dire, c’è anche il risvolto pratico: con le multe rimpingui i forzieri dello Stivale e intanto crei occupazione. Un addetto per ogni porta elimina la piaga della disoccupazione. E troveresti tanta di quella gente volenterosa nell’adempiere un simile lavoro che i centralini per l’assunzione rischierebbero di fondere. Tu leggi la mia proposta e poi fammi sapere eh?

Lo so, per la decenza comune dovrei fare come in chiesa prima della comunione e professare il mea culpa: è mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa…mi pento e mi dolgo di ogni peccato commesso…rimetto i miei peccati alla tua infinita misericordia. E via che vada. Però da un lato non posso neanche farci niente. Con il pallino del vestire bene un italiano ci nasce. Come un tedesco con l’istinto del calzino bianco nel sandalo o un francese del brie sulla pizza. Noi non andremmo mai in giro con i limoni incisi sui jeans. Piuttosto ci rasiamo le zone delicate con la falciatrice per prati. È così: fa parte del nostro retaggio ancestrale. In alcuni casi possiamo tenerlo sotto controllo, arginarlo, ma se bloccato troppo a lungo rischia di rompere i cordoni e esondare come la diga del Vajont. Son problemi. Soprattutto per chi ha deciso di vivere in Germania e vede certe scene (per le scene debitamente documentate vi rimando al post di Eireen). Per carità ci sono esemplari di barbari virtuosi che un minimo senso dello stile ce l’hanno. Ma proprio minimo. E di fatti spiccano in mezzo alla folla di fashion crimers che vagano impuniti per le città tedesche. Purtroppo neanche a Monaco ci salviamo. Nonostante sia definita la città italiana più a Nord e gli italiani qui abbondino (per non trascurare il fatto che la frontiera italiana dista solo 300km).

Tutto questo panegirico per dire cosa? Per dire che quando ho visto una certa scena i miei sensi di italiano si sono ribellati, hanno avuto un momento di stordimento e mi sono visto costretto a rianimarli con una dose extra di Grana Padano DOP. Prima di calare in Italia, ai primi di maggio, ho avuto l’altissimo onore di avere ospite il mio Vermieter. Si, nemmeno io ci potevo credere. Quando ho ricevuto la notizia poco c’è mancato che svenissi dall’emozione. Il bavaro-brasiliano aveva abbandonato le spiagge di Rio per presenziare alla prima comunione di Buben. Grande momento in famiglia, gioia e tripudio per il piccolo che diventa grande. Ora, immaginate il mio intimo sollievo quando ho visto uscire di casa il Vermieter vestito di tutto punto (completo nero, camicia bianca e cravatta argentata) e lo spasmo facciale che mi ha preso quando gli ho visto le scarpe. È stato uno schock anafilattico. La classica pallonata negli Amici di Maria, il giro di vite nelle zone sante, la punta del sellino dove non batte il sole. Erano le scarpe da vescovo, le scarpe da paraplegico, le scarpe di chi ha i calli o la cipolla sotto il pollice, le scarpe dell’esorcista. Quelle nere orrende, con la pianta larga, la punta squadrata e la patelona enorme che pare tagliata da un boscaiolo più che da un calzolaio. Un outifit perfetto rovinato con una semplice mossa. Cordoglio per gli occhi e rivolta degli intestini.

La sera è tornato, se le è sfilate ed è andato a farsi una corsa rigenerante. E io le ho fotografate. Per insegnare ai prossimi fashion crimers che certi crimini contro l’estetica meritano l’ergastolo e per testimoniare che certe scarpe esistono e andrebbero messe al bando. Come i pois abbinati ai tessuti scozzesi e/o il trench giallo uniposca con le infradito.

Ecco le scarpe e ditemi se non sono orrende!

Ps: sono perfettamente cosciente che anche in Italia girano truzzoni, slandroni e fashion crimers, per carità. Solo, non circolano a piede libero come nella Landa dei Tedeschi!

domenica 3 giugno 2012

Annunciazione, annunciazione!

Alla cortese attenzione degli affezionati Lettori: questa è una lettera aperta scritta in burocratichese, si consiglia quindi di leggere a velocità moderata, il tono pedante potrebbe causare mal di testa, nausea, dispnea, diarrea e forti dolori anginoidi. L’intento è puramente ironico, si declina pertanto ogni responsabilità nell’insorgere di complicazioni. In caso di effetti collaterali consultare il medico.

Egregi Signori Lettori,

scrivo la qui presente per chiedere la vostra opinione in merito a una faccenduola personale. A seguito dei sei mesi di tirocinio spesi nell’UT, mi trovo ora nell’imbarazzante situazione di non sapere esattamente per quali tipi di lavoro candidarmi in terra di Germania, ehm volevo dire Baviera. Il sottoscritto, si proprio io, Doktor Torquitax si pregia di aver conseguito la Laurea in Lingue e Culture per l’Editoria presso il prestigioso Ateneo dell’Università degli Studi di Verona. Mi rivolgo specialmente a quegli eminenti Lettori che da parecchi anni risiedono in territorio tedesco (e che quindi nel tempo hanno acquisito un’enorme esperienza in questo mercato del lavoro) per esaustive delucidazioni su quelli che potrebbero essere gli ambiti lavorativi per cui avrei le migliori credenziali. Ciò non esclude che anche gli altri illustrissimi Lettori non possano lasciare la propria opinione o dire il loro parere a riguardo. Tutti i consigli sono bene accetti. Soprattutto quello che vorrei porre alla Vostra attenzione è il seguente quesito: quali sono i termini più idonei di cui avvalermi per individuare nei motori di ricerca l’ambito lavorativo per cui potrei essere più adatto? Aiutate un povero sognatore indigente a farsi strada nel mondo dei Grandi. La vostra gentilezza e disponibilità non saranno mal riposte.

Colgo l’occasione per ringraziarVi in anticipo dei consigli e/o dritte di cui vorrete farmi dono.

In attesa di gentile riscontro porgo distinti saluti.

Cordialmente vostro,

Dr. Torquitax